Lo Spiantato – Con che fondi?

Con che fondi? Questa domanda ve l’avranno di sicuro fatta di fronte ai vostri sproloqui sulla qualunque: cibo gratis per tutti (di qualità), scuola gratuita, università gratuita, libri gratuiti. Tutto gratuito. Un modo per dire, in parole povere: “eliminiamo il denaro, il vero veleno della società”. Viva il socialismo e la libertà era ed è in genere la frase conclusiva (le tradizioni sono importanti).

E ogni volta subentra da qualcuno, il più destro in genere, la domanda provocatoria: con che fondi? È un po’ il passe-partout per stroncare ogni velleità di immaginare un mondo diverso: è una sorta di transenna logico-economica. E ora ha preso piede più che mai: dovunque emerge questa domanda, di fronte a qualsiasi proposta che abbia un certo legame coi propri ideali. Una domanda perversa. Perché ammazza in partenza ogni dibattito pubblico, appellandosi a una sorta di tirannia dell’economia, per cui se non hai idea di come raccattare il soldo, è inutile che parli, perché senza il soldo i tuoi discorsi sono chiacchiere. E ora, a prescindere da questo, siamo arrivati a una situazione per cui anche la Sanità, che dovrebbe interessare tutti, trova questa transenna: con che fondi curiamo i malati, compriamo le siringhe, le garze, il disinfettante ecc. ecc.? E di recente, in sordina, sta emergendo questa domanda: con che fondi paghiamo le borse di specialità ai medici neolaureati?

Victor Attilio Campanga Lo spiantato

Ecco, su questo tema è in atto una politica potenzialmente catastrofica per il nostro Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Perché si sta instaurando uno squilibrio progressivo tra chi concorre al test nazionale per entrare in specialistica e i posti disponibili. Per intenderci, l’anno scorso circa 16.000 neolaureati hanno gareggiato per 6.220 borse reali. Quest’anno, i circa 10.000 che non hanno passato il test concorreranno con i 9.000 neolaureati che ogni anno escono da medicina. Quindi 19.000 concorrenti per più o meno le stesse borse (anche se hanno annunciato ben (!) 900 borse in più), senza contare quelli che sono entrati l’anno prima e riprovano il test. Ora, vi direte, questo non è un problema che ci riguarda, alla fine è giusto selezionare, della serie: “voglio essere curato bene, io”. Sì, vero, è giusto selezionare, ma parliamo di un corso di laurea, quello di medicina, con un numero programmato, ossia un test che seleziona ogni anno circa 9.000 studenti, perché lo Stato ha calcolato che c’è bisogno di 9.000 medici all’anno[1]. Ciò ha un senso importante, perché il medico è un mestiere pubblico. Ossia, chi fa medicina, arriva a diventare dopo 6 lunghi anni un pubblico ufficiale. Quindi che senso ha selezionare il fabbisogno del personale medico futuro, per poi formare meno specialisti del necessario[2]?

Di fronte a queste opposizioni, abbastanza inoppugnabili, ecco che emerge la domanda: sì, va bene tutto, ma con che fondi? Ovvio, ogni cosa richiede dei soldi, ma lo Stato italiano ha formato quei 16.000 studenti, investendo su di loro per 6 o più anni (pagando i docenti, l’affitto di alcune strutture e così via). Quei soldi che senso ha spenderli se si formano ragazzi che finiscono a lavorare in RSA private o fanno sostituzioni a vita, tramite partita IVA[3]? Sono soldi buttati dallo Stato, quindi da noi. E poi, secondo la normativa, ogni borsa cui uno studente per le più svariate ragioni rinuncia, non è recuperabile, perché i relativi fondi sono bloccati per 4/5 anni, il tempo della conclusione della specialità.

Quindi, a che prezzo poniamo la fatidica domanda con che fondi? Al prezzo di ospedali senza turn-over, di un aumento dei medici a gettone, della chiamata di medici in pensione, del calo del personale, di attese medie di 3 ore al pronto soccorso, della fuga di chi si rompe i c******i e decide che non ne vale la pena e si specializza all’estero, di 45.000 medici specializzati che andranno in pensione e non verranno sostituiti.

A questo punto ve lo chiedo io: con che fondi pagheremo le conseguenze umane di tutto questo?

Note

[1]  Molto diverso dal numero chiuso, che viene immesso dai singoli Atenei per le più varie esigenze (spazi, qualità della didattica, selezione degli studenti e così via).

[2]  Ci sarebbe la scuola regionale per diventare medico di medicina generale. Solo che il numero di posti va da regione a regione, quindi è un’opzione anch’essa molto limitante.

[3] Che poi si fatica a comprendere il senso per cui da laureato in Medicina non puoi esercitare come medico di famiglia, ma puoi sostituirlo. Mah.

di Victor Attilio Campagna

Autore

  • Tre anni di Lettere Antiche, ora a Medicina e Chirurgia. Per non perdere l'identità si rifugia nella letteratura, da cui esce solo per scrivere qualcosa. Può suonare strano, ma «Un medico non può essere tale senza aver letto Dostoevskij» (Rugarli).