Il paradosso dell’abbondanza

La dipendenza dal cibo, fra “diete tristi” e assuefazioni a grassi e zuccheri

La nascita dell’agricoltura e la successiva rivoluzione industriale hanno comportato l’avvento di nuovi cibi caratterizzati da proprietà nutritive completamente diverse rispetto a quelle a cui era abituato l’uomo primitivo. Questo cambiamento di alimentazione e l’aumento del benessere, con la conseguente sovrabbondanza di cibo, spesso caratterizzata però da una scarsa qualità nutritiva, hanno comportato l’insorgenza di nuove malattie legate alla dieta e all’eccesso alimentare che si sostituiscono, paradossalmente, alle tradizionali malattie da carenza di cibo.

Prima dello sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, la scelta alimentare dell’uomo primitivo era limitata al consumo di piante selvatiche e di cibo animale poco lavorati e spesso disponibili in quantità limitate. L’arrivo dell’agricoltura e degli animali da allevamento e, con la rivoluzione industriale, l’introduzione di nuove procedure per la lavorazione degli alimenti hanno prodotto nuove combinazioni qualitative e quantitative totalmente inusuali per l’alimentazione dell’uomo primitivo. Inizialmente questo cambiamento fu molto graduale, ma in seguito
divenne più rapido con lo sviluppo di nuove tecnologie. Tali cambiamenti, inclusa l’abbondanza di cibo, sono avvenuti in assenza di una modificazione del genoma umano, ancora programmato per far fronte alla carenza di cibo.

Per valutare la differenza della dieta prima e dopo l’avvento dell’agricoltura è importante non solo considerare le qualità nutritive e i tipi di alimenti che verosimilmente venivano consumati dagli uomini pre-agricoli, ma anche riconoscere i tipi di alimenti e le loro qualità nutritive che non potevano essere consumate regolarmente prima dello sviluppo dell’agricoltura e dell’avanzamento tecnologico. I tipi di alimenti che generalmente non sarebbero stati disponibili per gli uomini primitivi erano i prodotti caseari, i cereali, gli zuccheri raffinati, gli olii lavorati e l’alcol. Anche le nuove “combinazioni alimentari” (ad esempio biscotti, torte, cibi da forno, cereali da colazione, bagel, panini, muffin, cracker, patatine, snack, pizza, bibite, caramelle, gelati, condimenti e condimenti per insalate) sono diventate una caratteristica tipica della dieta negli Stati Uniti e degli altri paesi occidentali.

Quindi dal periodo pre-agricolo fino alla rivoluzione industriale il nostro modo di approcciarci al cibo è cambiato in modo radicale. È preferibile un cibo parzialmente nocivo, ma gradevole, a un cibo indiscutibilmente sano ma sgradevole. Le parole del famoso medico greco Ippocrate sembrano essere il motto caratterizzante la dieta odierna: abbondanza e gusto la fanno da padroni, a discapito della qualità nutritiva di ciò che mangiamo. Questo insaziabile modo di nutrirsi ha ingenerato patologie croniche dette “metaboliche” quali obesità, diabete, ipertensione e patologie cardiovascolari, quasi sconosciute ai nostri nonni e ancora oggi rare nei paesi più poveri del mondo.

Negli Stati Uniti, così come negli altri paesi più industrializzati, questa alimentazione ipercalorica e ricca di acidi grassi saturi è molto diffusa e prende il nome di Standard American Diet, il cui acronimo è, non a caso, SAD Diet o “dieta triste”: dannosa per il nostro organismo.

Pur essendo nociva per la nostra qualità di vita, la SAD si sta tentacolarmente diffondendo nel resto del mondo, sradicando abitudini alimentari anche in quei paesi storicamente saldi su una dieta sana ed equilibrata come l’Italia (con la sua dieta mediterranea).

Oltre a una causa sociologica per il cambio delle nostre abitudini, recentemente si è data anche una spiegazione scientifica all’insorgere di questa “dipendenza” dal cibo. Un recente studio indica come cibi grassi e zuccherati possono essere considerati vere e proprie droghe per il cervello.

Questi cibi, infatti, andando a stimolare i recettori oppioidi, gli stessi della morfina e altri oppiacei, generano un circolo vizioso in cui il consumo eccessivo di cibi molto appetitosi stimola i recettori che a loro volta incrementano il desiderio di nuove scorpacciate, facendoci diventare dei “pozzi senza fondo”. A ulteriore conferma di quanto il cibo possa indurre dipendenza sia psicologica che fisiologica si possono vedere anche diversi studi sperimentali che hanno dimostrato esempi di plasticità nei circuiti correlati alla gratificazione in seguito all’accesso a cibi appetitosi. Gli adattamenti neuro-comportamentali instaurati in seguito all’assunzione di cibo gradevole sono stati paragonati a quelli osservati dopo farmaci di abuso. Questi dati suggeriscono che la sregolatezza nell’assunzione di cibo potrebbe essere simile alla dipendenza da droghe.

Inoltre, numerosi dati dimostrano come la plasticità comportamentale che si viene a instaurare in seguito a una csomministrazione intervallata di zuccheri soddisfi i criteri di dipendenza. Questa nozione è supportata dal fatto che la plasticità indotta dall’esposizione ripetuta a farmaci è simile a quella osservata dopo l’accesso intermittente ad alimenti come i grassi, altri tipi di cibi invitanti e le diete “Western” o “Cafeteria”.

A testimonianza di come questo nuovo modo di nutrirci abbia effetti devastanti nei paesi occidentali basti osservare che le malattie croniche correlate alla dieta, quali obesità, diabete mellito di tipo II e malattie cardiovascolari, rappresentano la causa maggiore di morbilità e mortalità. Queste malattie sono diventate epidemiche nelle  popolazioni in cui il benessere è più alto e in cui l’accesso al cibo è più facile e affliggono il 50-65% della popolazione adulta.

Pertanto, l’abbondanza alimentare tipica dell’età moderna pone un nuovo problema a una società che fino a pochi decenni fa era segnata dalla paura della fame. Da questo imprinting genetico e culturale alcuni atteggiamenti restano condizionati e l’irresistibile attrazione per l’abbondanza, che una storia millenaria di fame ha impresso nei nostri corpi e menti, porta a una assunzione eccessiva e immotivata di calorie dando origine alle malattie da eccesso alimentare e sostituendosi alle tradizionali malattie da carenza di cibo.

Bibliografia

Cordain, L. et al., “Origins and Evolution of the Western Diet: Health Implications for the 21st Century”, in American Journal of Clinical Nutrition, febbraio 2005, vol. 81, n. 2, pp. 341-54.

Montanari, M., Il cibo come cultura, Laterza, Roma-Bari 2007.

Olsen, C. M., “Natural Rewards, Neuroplasticity, and Non-Drug Addictions”, in Neuropharmacology, dicembre 2011, vol. 61, n. 7, pp. 1109-1122.

 

di Sergio Bernini

Autore

  • Sergio Bernini nasce a Houston nel 1985 e, alla fine degli studi, si laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Nel frattempo, coltiva la sua grande passione per la fotografia e per i viaggi.