Il ritorno di Li-Hsi

Zen_Koan

di Tommaso Megale

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Poesia di Li-hsi [1]

Li-hsi, che visse trent’anni sul monte Tzu-hu, scrisse una poesia:

Per trent’anni ho vissuto sul monte Tzu-hu.

Ho fatto pasti semplici due volte al giorno per nutrire il mio corpo;

Ho scalato le colline e sono tornato alla mia capanna per far esercitare il mio corpo.

Nessuno dei miei contemporanei mi riconosceva.

in-comprensione

Quello che cerchi è sotto i tuoi piedi si legge all’ingresso di molti monasteri zen.

Che la pratica e la vita quotidiana siano sovrapponibili senza scarti è uno degli aspetti della via del Buddha che unisce antico oriente e occidente contemporaneo:

Questa pratica non va limitata alla seduta, ma portata in ogni situazione. (…)

Facciamo l’esempio del lavoro. Abbiamo un programma ben definito per la giornata, quando arriva il direttore: «Abbiamo una scadenza importante. Lascia stare quello che facevi e occupati di questo. Mi serve entro un’ora». Se siamo praticanti, notiamo immediatamente le nostre reazioni fisiche anche mentre iniziamo il nuovo lavoro. Notiamo il corpo contrarsi e i pensieri risentiti: «Se dovesse farlo lui, non lo pretenderebbe in un’ora».

Notiamo i pensieri, li abbandoniamo e affrontiamo il nuovo compito. Ci radichiamo in esso.

Possiamo esaminare in questo modo tutta la nostra vita. «Quali sono le mie reazioni? Che cosa mi succede di fronte a ciò che fa la vita?». [2]

Nel mettere in relazione la poesia di Li-hsi e il testo di Joko Beck, il primo punto d’incontro che possiamo notare è la centralità del corpo nel processo di emersione alla consapevolezza. Come Li-hsi si preoccupa di nutrire ed esercitare il corpo, Joko ci ricorda di tornare al respiro e alle sensazioni corporee per incontrare il momento presente.

Questa sembra l’unica via per Accrescimento, inteso come esercizio orientato a se stesso. Pratica significa ascolto, cura ed esercizio dei corpi, questo sembrano dirci i Maestri del presente insieme a quelli del passato.

La poesia di Li-hsi si chiude con quello che potremmo definire un ammonimento:

Nessuno dei miei contemporanei mi riconosceva

L’ultimo verso è diverso dagli altri, fa riferimento alle interazioni sociali, argomento che sembra fuori luogo in bocca ad un antico Maestro, privato d’importanza, ci aspetteremmo che possa essere semplicemente taciuto. Ma evidentemente per Li-hsi questo è un punto fondamentale tanto da guadagnarsi il verso di chiusura.

Li-hsi ci sta dicendo di non lasciarci sedurre dalle parole altrui e di non confondere quello che viviamo con quello che pensiamo o ci viene detto.

Spesso ci troviamo ad onorare il nostro asservimento al riconoscimento altrui, non ha importanza se cercandolo o rifuggendolo, decantandolo o criticandolo.

In quel momento stiamo perdendo tempo.

[1] Nyogen Senzaki, Strout McCandless Ruth, Il flauto di ferro. 100 koan Zen, trad. it. Giulia Amici, Il Punto d’Incontro, Vicenza, 2002, pp. 75-76.

[2] Charlotte Joko Beck, Niente di speciale. Vivere lo zen, trad.it. Giampaolo Fiorentini, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma, 1994.

Autore

  • Presso l’Accademia di Belle Arti di Brera consegue con Lode il Diploma Accademico di Primo Livello. Nello stesso anno inizia la sua produzione collaborando con la Fondazione D’Ars di Milano. Interessatosi allo Zen inizia a praticare con fermezza presso il Monastero Enso-ji seguendo gli insegnamenti del Maestro Tetsugen Serra.