Il doppio sogno di Bill

Sogno e mise en abyme in Eyes Wide Shut

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… portare alle soglie di un sogno artefatto, capace di gettare un sasso dentro un vortice di sogni concatenati e narrati dal cinema. È per questo che le nostre fantasie corrono verso l’ultima opera di Stanley Kubrick, tratta dal romanzo di Arthur Schnitzler Doppio sogno. Eyes Wide Shut è una storia di eccitanti seduzioni, tentati tradimenti e parziali riconciliazioni di una giovane coppia in crisi. Presentato al pubblico come un thriller erotico – sebbene la sua trama non sveli alcun mistero e presto trasformi il sesso in un immaginario indecifrabile e persecutorio – il film narra le avventure di Bill, «un giovane e piacente medico newyorchese che, ignaro dei vissuti della bella moglie Alice e ingenuamente convinto della sua assoluta fedeltà, rimane sconvolto e ferito dalle sue confidenze intime. Una confessione di desideri e fantasie carnali che rivela un passato di brame sessuali non soddisfatte per pura casualità». Una veemente rivelazione, un’autentica dichiarazione di guerra che porta Bill a intraprendere reattivamente un periglioso viaggio alla ricerca di un appagamento sessuale sempre frustrato.

Bill girovaga nella notte, si imbatte in figure perturbanti, addentrandosi in luoghi nascosti e indecifrabili, vive situazioni in cui convivono, in un contrasto lacerante, realtà e immaginazione, angoscia e attrazione. La sua odissea erotica, trainata da una pulsionalità irrefrenabile, si risolve fatalmente in un totale insuccesso: il tenebroso inconscio respinge ogni volta le sue richieste sensuali, imprigionando il suo desiderio nell’attesa e nel rinvio. Dopo aver respinto un’insensata dichiarazione d’amore dalla figlia di un suo paziente appena deceduto ed essersi lasciato adescare da una prostituta con cui non riesce a consumare, Bill, cacciato da una festa orgiastica in cui si era maldestramente intrufolato, rientra a casa profondamente turbato. Alice dorme, scossa da un incubo. Risvegliatasi in preda all’angoscia, gli racconta di aver sognato di esser stata posseduta, nuda, prima da un giovane ufficiale di marina di cui si era invaghita, poi da molti altri uomini, di fronte al marito impotente e da lei schernito: un sogno terribile, che ricalca fedelmente circostanze ed emozioni vissute da Bill durante l’orgia.

Il godimento spasmodicamente inseguito da Bill e mai soddisfatto trova dunque soddisfazione nel sogno di Alice. Va notato che nel film, il dottor Bill (in inglese bill significa “conto”, “banconota”, o “legge”) – un uomo piattamente razionale, barricato nel ruolo di marito esemplare e medico integerrimo – si contrappone ad Alice, una donna frustrata dalla sua condizione di madre disoccupata che, come la bimba di Lewis Carroll nel Paese delle meraviglie, attraversa lo specchio e trova rifugio in mondi onirici e fantastici. Il confronto tra Bill e Alice rimanda allora alla situazione di incomprensione tra medici e isteriche descritta da Freud ai suoi esordi, all’inconciliabilità tra due linguaggi, quello conscio e razionale della medicina e quello inconscio ed emotivo dell’isteria. È noto che isteria e sogno sono per Freud vie maestre che portano direttamente all’inconscio, un luogo dotato di una sua logica separata, un mondo intrecciato con la realtà ma irriducibile a essa. A dimensioni cioè non del tutto svelabili perché deformate dalle censure difensive della psiche, a universi bizzarri ma mai scongiurabili, in quanto, come scrive proprio Schnitzler in Doppio sogno, «nessun sogno è solamente un sogno».

Baccanale, Maurice Denis, 1920
Baccanale, Maurice Denis, 1920

Il rimando del sogno di Alice all’esperienza orgiastica di Bill ci riporta all’artificio narrativo della mise en abyme, la sequenza ricorsiva e paradossale di un elemento che, rimandando metaforicamente a un medesimo contenuto, sintetizza il significato ultimo di un’opera. Come spiega Alessandro Cutrona nel suo saggio sull’attualità della mise en abyme, si tratta di rapporti di somiglianza in grado di generare una storia in una storia, di alimentare infinite interpretazioni, dare vita a un doppio che, come accade nella produzione onirica, indica accessi da attraversare e investigare.

All’indomani dell’orgia, Bill cerca invano di far corrispondere la notte con il giorno, il sogno con la veglia, l’inconscio con il conscio. Ma tra le eccitazioni e i turbamenti notturni e gli aggiustamenti e i compromessi diurni c’è uno scarto incolmabile che gli impedisce di placare le sue inquietudini. Gli indizi raccolti durante le sue indagini mattutine non combaciano tra loro; la sua razionalità non sa riordinare e dare un significato certo agli avvenimenti notturni; il confine tra mondo esterno e mondo onirico è confuso, nulla è sufficientemente definito da marcare il passaggio tra due dimensioni apparentemente separate. Gli indizi contenuti nel sogno di Alice si rivelano oltremodo confusivi perché troppo prossimi ai fatti accaduti: l’universo onirico intacca il mondo fisico, la vita interiore e le percezioni esterne si accavallano tra loro, pensieri e sensazioni, apparenza e realtà sconfinano irrimediabilmente l’una nell’altro.

Ha dunque sognato soltanto Alice o anche l’odissea notturna di Bill altro non è stata che un sogno? Un dubbio iperbolico attraversa la sua mente condannata a rivivere un’avventura su cui egli non può imprimere la propria volontà e di cui gli sfugge il senso. Il confronto con la dimensione onirica lo ha sradicato dalla realtà e da se stesso, lo ha esposto a fantasmi persecutori che sfuggono al suo controllo.

Ma per Bill e Alice sognare non è solo sprofondare in un abisso senza fondo. Come ci hanno insegnato Freud e Jung e come magistralmente Kubrick riesce a rappresentare nell’orgia spettacolare, il sogno è anche luogo di travestimenti e giochi di maschere, una teatralità che, nella sua dimensione antitetica e trascendente rispetto all’esistenza ordinaria, dissolve i rassicuranti quanto scontati tentativi di riconciliazione della giovane coppia. Attraverso i sogni, realmente vissuti o soltanto fantasticati da Bill e Alice, emergono pulsioni rimosse e desideri inconfessati, espressi dal linguaggio onirico in forma teatrale: il mondo inconscio diventa un palcoscenico che si attiva nella loro mente, una scena i cui temi e concetti sono rappresentati per immagini. Visioni dunque, non pensieri, allucinazioni concatenate che, nelle loro sequenze anomale e devianti, drammatizzano le idee.

La scintillante festa natalizia in casa Ziegler, esponendoli entrambi ad attraenti quanto pericolose seduzioni, fa da innesco e “resto diurno” sia al sogno di Alice sia all’esperienza orgiastica di Bill. Mette cioè in funzione il carattere connaturato delle pulsioni alla drammatizzazione: la villa dove si celebra l’orgia è volutamente irreale, è un teatro dove si celebra un rito in maschera angosciante quanto risibile, con officiante e baccanti nude, tutti a volto coperto e calati in un’atmosfera lugubre, trapassata da un canto che risuona roco e satanico.

Secondo Jung «tutta la creazione onirica è sostanzialmente soggettiva e il sogno è un teatro in cui chi sogna è scena, attore, suggeritore, regista, autore, pubblico e critico insieme»; il sogno è uno scenario interiore su cui l’inconscio proietta e in cui impersona i propri stati emotivi più primigeni. E nei rituali orgiastici, come negli inquietanti eventi notturni che li precedono e li seguono, gli istinti profondi di Bill trovano uno spazio capace di contenere il conflitto continuo tra le pulsioni di vita e quelle di morte, una lotta infinita in cui, come sostiene Freud in Al di là del principio di piacere, Thanatos vince sempre su Eros.

È anche questa la funzione trixter di alcune famose parentesi di “teatro nel teatro”, per le quali quasi tutti gli autori hanno un debito verso William Shakespeare. In Sogno di una notte di mezza estate ritroviamo infatti la festa, il carnevale e le maschere della messinscena dei teatranti all’interno di un’opera già teatrale; e nell’Amleto, ancor di più, la funzione della rappresentazione – avente come scopo quello di far tradire le pulsazioni dell’odiato zio Claudio – punta dritto nella direzione dell’inconscio e della metanarrazione, poiché come dice anche Mariagabriella Cambiaghi nel testo Le commedie

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di Mario Mattioda

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