Morsi terapeutici

di Carola Benelli

///

Prima che il morso finisca con lo spezzare il paziente borderline – incline ad atti autolesionisti e suicidi – è necessario che un morso risolutore provenga dal terapeuta. Non in modo violento ma, temperato da un setting ben definito.


Le dinamiche che si innescano tra paziente e terapeuta sono da molti considerate il vero ingrediente curativo di una psicoterapia che poi ognuno le definisca e le nomini in modi differenti, in base alla teoria di riferimento, è un’altra storia. Qualcosa accade, mentre il paziente è steso su un lettino di velluto, o sprofondato in una grande poltrona, o appollaiato su una scomoda sedia di un consultorio; qualcosa accade e qualcosa muta.

Niente è cambiato. Rimango e rimarrò un’inetta e una codarda. Non riuscirò mai a superare la paura degli esami… Sono stupida. Sono sempre stata così. Mi detesto, tutti gli altri ci riescono…Non mi sopporto.

È una grande opportunità di presa di coscienza e di ricerca delle risorse che permetteranno di lasciar andare, almeno in parte, la sofferenza. Nessuna terapia è semplice, nessuna terapia è banale. Ma alcuni pazienti sono certamente più difficili di altri.

Mi hanno assegnato un compito difficile al lavoro. Non sono capace di inserire tutti i dati in una sola tabella. Non ce la farò mai. L’hanno fatto apposta, quegli stronzi, mi volevano umiliare. Il mio capo vuole solo farmi fare una figuraccia, lo sa benissimo che fallirò. Mi sono messa a lanciare tutto quello che avevo sulla scrivania, deve capire che non sono una stupida.

Il disturbo di personalità borderline1 – vulcanico, affascinante, pericoloso – costituisce una grande sfida per il terapeuta, non soltanto quello alle prime armi. Una terapia con un paziente di questo tipo richiede allo psicologo di mettere in campo le proprie competenze teoriche, tecniche ed ermeneutiche, ma anche e soprattutto forza d’animo e tenacia2.

Mio padre voleva entrare in salotto. Quello stronzo… Ho iniziato a urlare e a graffiarlo, deve capire che il salotto è mio.

D’altro canto, se è vero che ogni malattia porta in sé una verità che ci riguarda tutti, come esseri umani, incontrare la verità di un paziente borderline è un’esperienza, molto prima che professionale, straordinariamente umana.

Mia zia mi ha chiesto di andare con lei dal parrucchiere. Siamo andate in tram. Ora mi rendo conto che non vado più in macchina, neppure se sono con altri. Se non sono riuscita ad andare con lei non riuscirò a fare niente. Non sopporto mia madre: tutto quello che fa e che dice mi infastidisce. Mi sento in colpa. Mi viene in mente mio padre, non riesco mai a dargli soddisfazioni.

I pazienti borderline si percepiscono come indegni: sbagliati, mostruosi, folli, ridicoli e inadeguati. Molto spesso portano l’attenzione in modo selettivo ai propri insuccessi e limiti, con un atteggiamento passivo che impedisce di intraprendere un tentativo di cambiamento.

Sono l’unica che non ha ricevuto un aumento al lavoro quest’anno. Io non valgo nulla, non so fare nulla, sono sempre stata la peggiore in ogni cosa. Sarà sempre così.

L’umore disforico, oltre a innescare in alcuni casi crisi bulimiche, sintomi di somatizzazione e comportamenti autodistruttivi, favorisce reazioni di rabbia intensa e non adeguatamente regolata in risposta a difficoltà anche minime. Il paziente è sempre in tribunale: a volte è accusato, altre volte accusa.

Lunedì mi sono svegliata di pessimo umore. Il mio lavoro fa schifo, è da sfigate. Appena arrivata in ufficio quella stronza della mia collega mi ha obbligato a fare le fotocopie. Avrei voluto prenderla a calci, la testa mi scoppiava per la rabbia. La odio. Ha passato la giornata a guardarmi male. È una strega, lei e le sue amiche.

In questo continuo processo, non mancano le occasioni in cui il paziente si sente fonte di danno e dolore infinito per qualcuno che ama. Intensi sentimenti di colpa possono insorgere a seguito di episodi anche banali.

Io e mia sorella discutiamo sempre quando si deve portare fuori il cane. L’altro giorno abbiamo litigato. Lei stava lavorando, e io non ho fatto niente per aiutarla. Quando ho visto che aveva perso la concentrazione mi sono sentita un verme. Mi vergogno anche a parlarne.

Al tempo stesso, il paziente si sente estremamente vulnerabile: qualsiasi cosa potrebbe ferirlo o annientarlo, senza possibilità di difendersi.

E se mi lascia? Sono terrorizzata. Quando si accorgerà che dipendo da lui non mi vorrà più. Quando è uscito da casa mia l’altro giorno ho avuto paura, mi sono sentita sola…e se mi abbandona?

Per arginare il senso di minaccia incombente, può ribaltare i ruoli e trasformarsi da vittima in aggressore: disprezza, aggredisce, si vendica, alla ricerca disperata di una sicurezza anche solo momentanea.

Quando mia madre ha bussato alla porta di camera mia mi sono messa a urlare. È una stronza. Vuole sempre invadere i miei spazi. Le ho urlato che è una troia e che mi fa schifo.

Come gestire questi stati disregolati? Spesso è impossibile per il paziente trovare da sé risposte funzionali, così finisce per farsi del male: abuso di alcol, comportamenti parasuicidari, autolesionismo, sono un tentativo drammatico di tenere in qualche modo sotto controllo la sofferenza.

Ero molto agitata. Ho provato a chiamarla ma lei non rispondeva. Ho preso un coltello e ho cominciato a farmi dei tagli sul braccio sinistro. Ho sentito finalmente un po’ di piacere e ho continuato.

In questo orizzonte di compromissione e disagio, la psicoterapia individuale è un percorso fondamentale. Il rischio, per il terapeuta, è quello dell’ipercoinvolgimento emotivo e relazionale, con pressioni difficili da gestire.

Io stavo male l’altra sera. Avevo bisogno di lei. Ho provato a chiamarla centomila volte, ma lei non rispondeva mai. È colpa sua. È questa stupida terapia che mi fa stare male. Da quando vengo qui sto sempre peggio. Non guarirò mai, è tutto rovinato.

La risposta deve quindi muoversi nella direzione di un morso che spezzi, proprio come descrive l’I King. Non certo nel senso di un movimento aggressivo e violento, piuttosto di una tecnica salda, un setting definito, un contratto terapeutico chiaro. Sono questi gli strumenti a disposizione del terapeuta che si trovi ad accogliere nel suo studio un paziente borderline. Questi strumenti clinici sono il suo morso. E ciò che va spezzato è il ripetersi dei cicli interpersonali disfunzionali cui abbiamo accennato.

Ma l’I King suggerisce anche un altro tema cruciale per un morso efficace: l’attesa. Il terapeuta dovrà pazientemente attendere che le difficoltà del paziente compaiano in seduta. Proprio come si attende la pioggia, senza poter dire quando e come arriverà, così in terapia si attende il manifestarsi delle diverse difficoltà e ci si prepara ad affrontarle in vivo, insegnando al paziente a padroneggiarle. Rievocando il clima positivo della seduta, il paziente gradualmente impara a regolare il dolore e limitare le distorsioni cognitive anche da solo.

Cara Margherita, forse ora sente la forte minaccia incombente di cui abbiamo parlato in seduta e inizia a pensare di non poter affrontare la situazione. Forse sta pensando che tutte le persone intorno a lei la disprezzano e sono aggressive. Può essere che in questo momento sia davvero in difficoltà, ma di solito lei reagisce immaginando drammi e solitudine. Cerchi di ricordarsi ciò che mi ha detto lei stessa: questo dolore è transitorio, le sue paure sono dovute alla sua storia, ma non si realizzano mai. Provi a tranquillizzarsi e mettere in atto i sistemi di distrazione di cui abbiamo parlato, ma ricordi anche che se non ci riuscirà la crisi passerà comunque. PS: naturalmente non mi arrabbierò con lei se non ci riesce.

È questa la forza più grande della terapia: il morso che spezza è anche un abbraccio caldo che contiene e accompagna.


Bibliografia:

Semerari, A., Fiore, D. (2005), Il disturbo borderline di personalità, in Bara, B. (a cura di), Nuovo manuale di psicoterapia cognitiva, Bollati Boringhieri, Torino. www.disturbobordeline.com


Note:

1. Il disturbo borderline è un disturbo di personalità e come tale è caratterizzato da modalità di pensiero e comportamenti disadattivi che si manifestano in modo relativamente stabile. Nel caso del disturbo borderline, l’elemento ricorrente è però l’instabilità emotiva, che può condurre a esperienze di vuoto o caos incontrollato. Nel tentativo di evitare o contenere tali esperienze, questi pazienti ricorrono a strategie controproducenti, come l’autolesione, l’abuso di sostanze o l’eccesso di rabbia. Nella sfera delle relazioni, i soggetti bordeline sono altrettanto instabili: ora cercano conferma della presenza dell’altro, ora lo respingono rabbiosamente per evitare un possibile rifiuto.

2. L’America Psychiatric  Association (2001) ha dichiarato la psicoterapia individuale come trattamento primario per pazienti con disturbo borderline, ma è consigliabile una gestione globale del paziente che può includere l’intervento farmacologico e la terapia familiare o di gruppo.

 

Autore

  • Psicologa, attualmente in formazione come psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, aspira a diventare un'esperta di mindfulness. Curiosa avventuriera e grande pasticcera. Una tartaruga nell'Oceano Indiano è stata battezzata in suo onore.