Letteratura come processo alchemico

Materia prima di Sergio Oricci

La pietra filosofale è molto probabilmente la prima cosa che viene in mente a chiunque pensando all’alchimia. Il sogno di tramutare l’oro in ferro non era che una delle ricerche a cui puntava quella disciplina, e nemmeno la più importante, ma ha saputo solleticare la nostra fantasia materialista molto più della componente spirituale sottesa a quella ricerca. Nel calderone alchemico, almeno figuratamente, insieme ai componenti fisici viene gettata anche l’anima, in un processo di trasmutazione che è prima di tutto interiore: ottenere la ricchezza esteriore è impossibile, se non inutile, senza un arricchimento intimo, una profonda esperienza spirituale.

Il protagonista di Materia prima, il quarto libro di Sergio Oricci uscito nel 2024 per Transeuropa, è ossessionato dalla necessità di provare questo tipo di esperienza. Si chiama Sergio e abita a Cluj-Napoca in Romania, in un gioco di falsa auto-fiction, e dopo una vita piuttosto comune e costellata di soddisfazioni inizia a sentire il vuoto dentro tutto ciò che possiede, sia materialmente che affettivamente.


È stato all’apice del mio successo come essere umano che ho iniziato a sentire fortissimo il desiderio di tornare a essere solo, disoccupato, perfino disperato, oppure la mia condizione era quanto di più lontano possa esserci dal successo, solo un istante di quiete, di stabilità, il punto di arrivo di qualcuno che per anni aveva cercato di vivere una vita normale e quando finalmente era riuscito a farlo aveva capito che la vita degli altri non è poi tanto diversa dalla propria.

Licenziatosi, Sergio passa le sue giornate cercando illuminazioni fra video su YouTube e informazioni carpite qua e là su esperimenti di arte contemporanea, strani concorsi videoludici e, alla maniera di Foster Wallace, il gioco di Roger Federer. Parla con estrema sincerità della propria condizione, sconvolgendo il rapporto con moglie e figlia attraverso pensieri che nessuno esprimerebbe ad alta voce, fa cose senza senso come eiaculare sulla corona natalizia appesa alla porta della vicina di pianerottolo e in generale dà l’impressione a chi ha attorno di non avere più una direzione.

Immaginando la storia narrata da Oricci come un processo alchemico, nella sua prima parte gli elementi sono ancora inerti nel calderone, elementi sia narrativi che stilistici: la fase di crisi di Sergio (il personaggio) è descritta attraverso una precisa sequenza di descrizione di avvenimenti esterni in cui lui cerca le prove di un’esperienza spirituale, esplorazione della vita di Sergio in terza persona, flusso di coscienza in prima persona e parti metateatrali che coinvolgono lui e le persone che gli stanno attorno. Manca solo l’innesco affinché questo materiale inerte possa iniziare a tramutarsi in altro: la decisione di lasciare tutto definitivamente, anche ciò che conosce di sé stesso.

Quello che sta per fare non è:

Un rito o un rituale basato su fede cieca.

Un intrattenimento intellettuale o filosofico.

Una cura, un’opportunità di riposo, un’occasione per socializzare.

Una fuga dalle difficoltà pratiche o esistenziali.

Quello che sta per fare è:

Una pratica per eliminare la sofferenza.

Un metodo per purificare la mente e affrontare le difficoltà pratiche o esistenziali in modo calmo ed equilibrato.

Un modo di vivere che può essere usato per contribuire in modo positivo in società.

Inoltre sarà necessario:

Astenersi dal mangiare dopo mezzogiorno.

Evitare ornamenti estetici.

Dormire su letti bassi e semplici.

Da qui comincia un altro libro, narrativamente più asciutto e conciso ma non per questo meno aperto alla sperimentazione. Sergio parte per l’Italia e si rifugia in alcune comunità spirituali, sprofondando lentamente in contesti sempre meno ancorati alle regole che seguiamo nella vita di tutti i giorni, fra pratiche del silenzio, dee bambine e persone allergiche all’elettrosmog. È una vita materialmente più semplice quella che trova ma spiritualmente provante, eventi che sfidano la morale in un contesto in cui sono esattamente la morale e le convenzioni ciò di cui bisognerebbe liberarsi. E le regole? Seguirle, trasgredirle o fissarne di nuove? Abbiamo bisogno di regole?

«Noi non sappiamo se tu sia pericoloso, dorato. Non sappiamo quasi niente del tuo mutismo, e se vogliamo aiutarti, dobbiamo anche prendere in considerazione che tu possa esserlo. Proteggerci, proteggere L’Oasi. Abbiamo discusso a lungo, con i sei arcangeli. E abbiamo pensato a tre possibili soluzioni, per questa situazione che potrebbe rappresentare una tragedia, un miracolo, o… perché no, forse qualcosa che nel giro di un anno o due diventerà solo una storia interessante da raccontare ai bambini.»

La parte finale del libro, debitrice nella sua forma di Noi del recentemente scomparso Alessandro Broggi, porta a compimento la trasmutazione. O ne è solo l’ennesimo passaggio? È facile accorgersi quando il ferro si tramuta in oro, ma nessuno è mai riuscito a compiere questo prodigio se non nelle leggende; allo stesso modo un’anima risolta, perfetta per quanto si possa parlare di perfezione senza conoscerla davvero, come sarà mai? Forse il processo non avrà mai una fine, il fuoco nel calderone continuerà a bruciare e noi a trasmutarci continuamente, abbandonando l’idea di una finitudine: coi suoi dilemmi, con la sua forma cangiante e con la sua rinuncia a un finale definito, Oricci rende Materia prima quanto di più vicino a un processo alchemico in letteratura.

Abbiamo la sensazione di galleggiare come in uno specchio d’acqua salatissima che non ti permette di immergerti del tutto. Ma qui le ferite non bruciano, la pelle non si irrita, ed è anzi nutrita dalla materia con cui entra in contatto, con cui condivide questa esperienza. Ci pensiamo qui per un milione di anni, diventare uno strato, vivere in un futuro lontanissimo come fossili. Lentamente ci rialziamo, pesanti e limacciosi, con una seconda pelle di materia organica che ci avvolge, una placenta. Ci tuffiamo nello stagno, che non è abbastanza profondo per nuotare, ma sufficientemente alto per lavarci. Libellule multicolori vibrano appena sopra la superficie. Usciamo dall’acqua nudi e di nuovo puliti, appena nati.

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