Tra lampi di magnesio e soleggiati paesaggi del West
Modestia.
Per Rafael Spregelburg, drammaturgo e regista teatrale autore della Eptalogia di Hieronymus Bosch, la Modestia è un peccato. La Ruota dei Sette Peccati Capitali è il quadro – o per meglio dire, il tavolo – ispiratore delle pièces Inappetenza, Stravaganza, Stupidità, Panico, Paranoia, Cocciutaggine e Modestia.
Esibito al Prado come un tavolo, invita l’osservatore a percorrere il dipinto per poterlo vedere dritto in ciascuna delle rappresentazioni fantastiche dei sette peccati.
Questa attitudine “attiva” dello spettatore è stata il primo detonatore. Il quadro non si può vedere intero. Bisogna puntare lo sguardo in un punto a caso al suo interno, poi scegliere una direzione, percorrerlo in cerchio, girare intorno all’opera fino a giungere di nuovo al punto di partenza, con il compito di rielaborare l’informazione e decidere cosa sia ciò che si è visto. È un procedimento formidabile.
(Rafael Spregelburd, Introduzione all’Heptalogía, Edizione Adriana Hidalgo, Buenos Aires, 2000)
Monte.
Un monte dentro la terra è l’immagine suggerita dall’esagramma n.15 Kkienn.
Siamo del 1861 quando il fotografo parigino Félix Nadar, decide di seguire il percorso “nell’intestino del Leviatano” (digressione letteraria sulle fogne di Parigi) descritto da Victor Hugo nel romanzo I Miserabili, una lotta allegorica tra luce e tenebre, bene e male, felicità e miseria. Ormai padrone della tecnica fotografica, si allontana dal suo celebre studio al 35 Boulevard des Capucines per riprendere Parigi sia dall’alto di una mongolfiera (le Géant) sia calandosi nei tunnel di fogne e catacombe. Pioniere dell’uso della luce artificiale in fotografia, rivela la Parigi sotterranea ai suoi abitanti. Grazie alle batterie Bunsen, riesce e generare abbastanza elettricità per fotografare nel buio anche se questo comporta un lunghissimo tempo di esposizione (fino a 18 minuti). A testimonianza del suo lavoro, l’angolo in basso a destra di un’altra immagine mostra la rivelatrice lampada al magnesio.

Per animare alcune scene e dare un senso della scala di proporzione, Nadar sfrutta l’immobilità inorganica di manichini vestiti da operai. L’unica fotografia scattata nelle catacombe dove compare una persona vivente è l’autoritratto di Nadar seduto contro un muro di ossa.


Moda.
Sbarcato nel mondo della fotografia di moda, l’Avedon diciannovenne impara a produrre immagini pubblicabili, ma non rinuncia a comunicare la propria visione del mondo.
Il saggio modesto – dice l’I Ching – deve combattere anche se non vorrebbe, una volta imposta la propria volontà potrà tornare alla sua naturale modestia.
Tra il 1979 e il 1984, scatta 752 fotografie della serie In the American West: ritratti di persone comuni (un apicultore, operai dei pozzi petroliferi, vagabondi, cowboys, contadini, una ragazza in salopette e lentiggini) con il volto indurito dalle difficoltà.


Avedon dispone uno sfondo bianco per togliere ogni possibilità di contestualizzazione dei soggetti ed esaltare le figure ritagliandole fuori dallo spazio e dal tempo.
La maggior parte delle fotografie sono scattate in luce naturale. Sembrerebbe una scorciatoia: facile usare la luce naturale già bella e pronta. In realtà, la luce naturale richiede una maggiore padronanza tecnica perché, a differenza dell’illuminazione artificiale controllabile in studio, è soggetta a mutamenti e imprevisti da gestire prontamente.
Richard Avedon ritoccava le sue immagini allo sfinimento, sfarfallando mani da prestigiatore nel cono luminoso dell’ingranditore per aggiungere o togliere luce, bruciare o schiarire la sua stampa.
Il saggio riduce ciò che è troppo e aumenta ciò che è troppo poco.
Lavorando sui mezzitoni (scurendo o schiarendo i grigi), Avedon modula il contrasto epidermico dei volti ritratti per ottenere il maggior numero di informazioni e una gamma espressiva sottilmente sfaccettata.

Avedon era abilissimo a rilassare quanto a provocare le persone davanti al suo obiettivo. Un esempio? È stato capace di dire “Mentre venivo qui, il mio taxi ha investito un cane” per innescare un’espressione di tristezza e sconcerto nei suoi soggetti (vittime cinofile, il Duca e la Duchessa di Windsor). Un trucco a fin di bene. Il bene dell’immagine, si intende. Una bugia per ottenere la verità, una piccola menzogna per far cadere le maschere sociali dai loro volti.
Messina.

Nella seconda metà dell’Ottocento, Giovanni Battista Cavalcaselle gira l’Europa a cavallo per studiare le opere d’arte. Scandagliando i dipinti siciliani, costruisce il primo catalogo delle opere di Antonello da Messina. Abile nel disegno e dotato di grandissima memoria visiva, Cavalcaselle appuntava sui suoi taccuini (ne scrisse 32) le opere dei maestri, annotandone composizioni ma anche riflessioni su colori e dettagli che gli permettessero di ricostruire le paternità dei dipinti. Lo storico dell’arte non ha viaggiato in solitudine, ma bene accompagnato.
Morelli.
Incaricato da Cavour, Giovanni Morelli percorre l’Italia Centrale insieme a Cavalcaselle per redigere il catalogo delle opere d’arte conservate tra Marche e Umbria.
Il connoisseur di origini svizzereinventa il metodo dei “motivi sigla” per la corretta attribuzione delle opere d’arte: particolari anatomici caratteristici e ricorrenti, vengono dipinti dal pittore in modo quasi meccanico perché ritenuti poco significanti nel contesto dell’intera composizione.
Per seguire gli indizi morelliani bisogna prestare particolare attenzione alla forma del lobo dell’orecchio, al contorno delle palpebre, alla lunghezza delle falangi e alla conformazione delle dita. Le parti più attraenti di un ritratto (per esempio l’espressione di un volto o il sorrido leonardesco) possono influenzare la mano di altri pittori della stessa scuola o bottega. I particolari secondari non correrebbero, invece, questo rischio.

Da tempo le idee di Morelli sono superate ma i suoi studi restano un buon punto di partenza. Oggi si preferisce parlare di impressione d’insieme e non di singoli tratti distintivi dell’artista. Non la linea delle palpebre, ma l’indefinibile sguardo beffardo e misterioso dell’ignoto marinaio ci guida verso la mano di Antonello da Messina.
di Anna Laviosa
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