Un aiuto dal domani
Se state leggendo queste parole, significa che c’è ancora speranza. Non per noi, ma per voi. Tuttavia, se vi riconoscete in ciò che sto per raccontare, allora potrebbe essere già troppo tardi. Le scelte che avete fatto, le strade che avete percorso, potrebbero avervi portato al punto in cui ci troviamo ora: un mondo morente, spezzato e consumato dalla paura e dalla distruzione.
Non so se questo messaggio vi raggiungerà. Non so se sarà corrotto, frammentato o se giungerà troppo tardi. Ma devo tentare. Perché se c’è anche solo una possibilità che queste parole cambino il vostro futuro, allora vale la pena rischiare tutto. Mi affido alla speranza che arrivi nel posto giusto, nel tempo giusto, e che più di ogni altra cosa venga compreso.
Non sono una scienziata, ma so che questa tecnologia si basa su teorie applicate fin dall’inizio del ventunesimo secolo: l’entanglement quantico. Una scoperta che, in passato, sembrava destinata solo alla scienza teorica. Eppure, qui nel nostro tempo, è diventata un’arma, uno strumento di controllo capace di manipolare il passato. Permette di inviare piccoli pacchetti di dati attraverso il tempo, ma il processo è instabile, pericoloso e profondamente proibito.
Questa tecnologia non è stata creata per salvare il mondo, ma per garantirne il dominio. Ogni utilizzo è registrato, ogni deviazione dal protocollo viene punita con la morte. Io non avrei mai dovuto accedervi, e ancora meno usarla in questo modo. Ma cosa avevo da perdere? Quando tutto è già perduto, anche una scintilla di speranza diventa un atto di ribellione.
Vi parlo ora, da un presente che non vedrete mai, ma che spero possiate evitare. Quello che scrivo arriva da un mondo in rovina, un mondo che non è stato distrutto all’improvviso, ma un pezzo alla volta, sotto i nostri occhi e per mano nostra. Come se non ci riguardasse, abbiamo ignorato i segnali che la natura ci mandava: l’aria che si faceva più calda, gli oceani che si alzavano, le tempeste che diventavano sempre più violente. E poi, quando il pianeta ha iniziato a ribellarsi, invece che unirci e contrastare gli eventi, ci siamo voltati l’uno contro l’altro.
Con l’aumentare delle temperature, molte zone sono diventate invivibili. La nostra Europa è diventata casa di uragani distruttivi che hanno ampliato il loro dominio cogliendoci impreparati.
Il mare gonfio del ghiaccio sciolto ha divorato intere città come Venezia, Ravenna, Alessandria, Tunisi, Malaga, Salonicco. Nomi che un tempo significavano vita e cultura, ora sono solo relitti sommersi.
Sapevamo che sarebbe accaduto, ma le previsioni erano ottimistiche. Ci dicevano che ci sarebbero voluti secoli prima che i ghiacciai scomparissero. Poi, nel giro di qualche decennio, la realtà ha superato i modelli. Nessuno immaginava una tale velocità. “C’è ancora tempo”, si ripeteva. Mai abbiamo avuto più torto.
Il Mediterraneo si è espanso, trasformando le coste e risalendo i corsi d’acqua. Ha contaminato le fonti idriche con il sale. I grandi fiumi, prima straripanti, ora sono velenosi e inutili. Nonostante questa abbondanza d’acqua, gran parte dell’Europa centro-meridionale è desertificata. Le sue più grandi foreste sono ridotte al minimo, essiccate dalla calura. Molte specie animali si sono estinte e molte altre sono mutate per adattarsi al nuovo clima.
Ma non bastava l’ira della natura. Qualcosa di più invisibile e crudele si stava insinuando tra di noi: il virus. O meglio, i virus.
Un nuovo tipo, il primo di una lunga serie, non uccideva subito. Attaccava il sistema immunitario e lo indeboliva lentamente. Non c’era bisogno di creare una pandemia artificiale. Bastava alterare la nostra biologia, renderci incapaci di difenderci. La gente iniziò a morire per cause sempre più banali: un’influenza, un taglio infetto, un colpo di freddo.
Le vittime, in ogni parte del mondo, non si contavano e non vi era più posto per dare riposo ai morti. Le pire improvvisate, cariche di corpi ammassati senza nome, bruciavano ovunque, sprigionando un odore così forte da rivoltare lo stomaco, mentre il fumo portava via i volti di coloro che furono padri, madri e figli.
La guerra più silenziosa e letale che il mondo avesse mai visto. Nessuno sa chi abbia iniziato. Forse un attacco deliberato, forse un errore di laboratorio. Le prime infezioni si manifestarono simultaneamente in diverse parti del mondo, eliminando ogni possibilità di identificare un colpevole. Non c’erano stati segnali, nessuna dichiarazione di guerra, solo persone che cadevano come mosche in un silenzio spaventoso.
Le nazioni risposero con la stessa arma. Occhio per occhio, virus per virus.
La popolazione globale crollò. Troppo tardi ci accorgemmo che questa non era più una guerra, ma un’estinzione programmata.
Quando il caos raggiunse il suo picco, il Sistema si rivelò.
Non nacque dal nulla. Era lì, dietro ogni decisione politica, dietro ogni emergenza, osservando e aspettando. E quando il mondo fu abbastanza distrutto, intervenne.
L’Europa non chiuse le sue porte per proteggersi.
Le chiuse per garantire che nessuno vedesse cosa stava realmente accadendo.
Dietro il pretesto della sopravvivenza, chi controllava il potere in Europa spezzò ogni legame col resto del mondo. Le trasmissioni si fecero sempre più rare, poi scomparvero del tutto. Le persone smettevano di chiedere, e chi lo faceva non otteneva risposte. O peggio, veniva messo a tacere.
Il Sistema non si è mai formato per caso. Non è arrivato dopo i disastri. Era già lì.
Era nascosto nelle pieghe del potere, nei corridoi della politica e nei centri decisionali. Non aveva bisogno di eserciti. Non aveva bisogno di forza.
Aveva bisogno solo di una cosa. Della nostra paura.
La stessa paura generata dall’ignoranza. La stessa che permette di controllare, manipolare, illudere le nostre menti, era stata l’arma più efficace, il fondamento su cui il Sistema aveva costruito il suo impero. Non avevamo bisogno di catene, né di sbarre, né di eserciti schierati. Bastava instillare il terrore e le persone avrebbero accettato qualunque cosa.
Ogni casa era un silenzio imposto. Nessuno parlava più ad alta voce, per paura che ogni parola potesse essere ascoltata, registrata, fraintesa. Le scuole, un tempo fucine di pensiero, erano diventate contenitori vuoti: si insegnava solo a obbedire, a non fare domande. Nei parchi artificiali, costruiti dove un tempo c’erano veri alberi, i bambini giocavano sotto l’occhio costante delle telecamere, imparando fin da piccoli a non attirare l’attenzione. La cultura era stata ridotta a un archivio digitale controllato, la musica privata delle sue dissonanze, le emozioni considerate pericolose e quindi sorvegliate, modulate, represse.
Avevano creduto a tutto. Alle elezioni digitali, ai governi trasparenti, al progresso tecnologico che avrebbe salvato l’umanità. Un’umanità che, invece, si stava piegando su sé stessa senza più resistere.
Io ero stata parte di tutto questo. Non posso negarlo.
Sono stata scelta dal Sistema per guidare, per rassicurare, per incarnare l’illusione di una nuova era, una democrazia più giusta, un mondo rinato. Ma era una bugia. E io, per anni, l’ho ripetuta a milioni di persone. Non ero nessuno. Solo una voce, un volto.
Il Consiglio Ristretto non ha nomi, non ha volti. Comanda nell’ombra, mentre noi, gli esecutori pubblici, giochiamo a fare i sovrani di un regno che non ci appartiene. Le elezioni? Una messinscena. Decise in anticipo da intelligenze artificiali che calcolano chi può mantenere la stabilità senza scossoni.
E il popolo credeva. Credeva nelle promesse, negli slogan, nelle parole ben calibrate. Credeva persino quando le proteste venivano soffocate, quando chi dissentiva spariva nel nulla, quando la verità diventava una favola distorta.
Credeva perché era più facile così.
Ma io ho smesso di credere quando hanno scelto mio figlio.
Ero convinta che nel Sistema ci fosse logica, ordine, protezione. Che fosse un prezzo da pagare, ma che almeno garantisse la sicurezza. Che tenesse al sicuro quelli come lui.
Mi sbagliavo.
Il Sistema non vedeva la sua forza, la sua volontà, il suo modo di guardare il mondo, i suoi occhi ingenui, puri e colmi di speranza per un futuro che solo i bambini possono immaginare.
Non possono vedere quello che solo una madre può vedere.
Loro non vedono persone, vedono numeri. Probabilità, statistiche, variabili. Mio figlio era una variabile sacrificabile. E come migliaia di altri bambini, non era utile. Non abbastanza forte, non abbastanza sano, non abbastanza funzionale per il futuro che stavano costruendo.
L’ho capito troppo tardi.
Quando ho provato a salvarlo, erano già sulle mie tracce. Quando ho tentato di nasconderlo, sapevano già dove cercare. Non esiste più libertà quando ogni movimento è tracciato, quando ogni battito del tuo cuore è registrato in un microchip sotto pelle.
Ma avevo un vantaggio. Uno spiraglio.
Nel cuore stesso del Sistema, tra i tecnici che ne garantivano il funzionamento, c’era qualcuno che sapeva più di quanto avrebbe dovuto. Un uomo che conosceva i codici, le falle, gli errori nascosti. Un uomo che, come me, aveva perso qualcosa a causa del Sistema.
era un uomo spezzato. Aveva perso sua moglie tre anni prima: selezionata, cancellata, dimenticata. Lavorava ogni giorno nei sotterranei della Sezione Dati, tra codici e server, ma aveva imparato a nascondere il dolore con una freddezza perfetta. Quando ci incontrammo, bastò uno sguardo per capire che anche lui non credeva più.
E da quel momento, il nostro piano prese forma. Lui trovò il modo.
Non poteva cancellare mio figlio dalle liste di selezione, sarebbe stato individuato in pochi secondi. Ma poteva sostituire un nome con un altro.
Il mio.
Con la stessa impronta genetica, la sostituzione sarebbe risultata più immediata, meno complessa e l’algoritmo sarebbe stato alterato con più efficacia e meno sospetti.
La selezione era automatizzata. Quando il momento sarebbe arrivato, quando avrebbero attivato i protocolli per il “riequilibrio demografico”, la morte sarebbe arrivata per me e non per lui.
Sapevo che non sarebbe bastato. Anche se avessi preso il suo posto, presto o tardi il suo nome sarebbe nuovamente entrato nella selezione. O peggio, qualcuno, accecato dalla fede nel Sistema e dalla possibilità di ottenere vantaggi, avrebbe finito per denunciarlo, rendendo vano il mio sacrificio.
Un bambino marchiato dal Sistema non può semplicemente sparire. Doveva fuggire.
Il mio contatto aveva previsto anche questo. Un passaggio sotto la civiltà. Un’idea così banale che forse proprio per questa ragione non erano state prese misure adeguate per il sottosuolo. D’altronde l’intera civiltà resa schiava nel pensiero, non aveva motivo di andarsene e, quei pochi come detto in precedenza, venivano fatti sparire. Per cui le vecchie fognature, di una civiltà ormai dimenticata erano la sua unica via per la salvezza per ciò che restava del mondo al di fuori del Sistema.
Non era un luogo sicuro. Ma era il solo in cui avesse una possibilità.
Grazie al mio ruolo politico, ero a conoscenza, anche se in piccola parte, di ciò che avveniva al di là del Muro. I discriminati, i relitti, i rifiuti della società. Tutti appellativi sinonimo di una cosa sola: libertà. Non sicurezza certo, ma al di là della “civiltà” vi era sicuramente la possibilità di costruirsi un futuro. Una libertà impossibile nel mondo moderno. Quindi lo affidai a un gruppo di ribelli, gli unici ancora abbastanza folli da sfidare il Sistema. Non li avevo mai visti prima, non sapevo se avrebbero davvero mantenuto la parola, se avrebbero potuto portarlo lontano abbastanza.
Ma non avevo alternative.
Potevo solo fidarmi del contatto e della speranza.
L’ultima immagine che ho di lui è un’ombra che scompare nell’oscurità del tunnel. Non so se è vivo o morto.
Ma so che, da quel momento, il suo destino non era più scritto. E so che, in quel momento, ho smesso di essere la Presidente.
Non ho salvato il mondo. Non ho scritto un nuovo ordine. Ma forse, ho salvato mio figlio. Forse, ho restituito a qualcuno là fuori la possibilità di decidere. Forse, essere madre è stato il mio unico atto di verità. Non potevo fuggire, ma potevo tentare un’ultima cosa.
La Nuova Europa aveva chiuso le sue porte al mondo, sigillando ogni trasmissione, ogni accesso, ogni fuga. Ma il Sistema aveva un punto debole. Lo stesso mezzo che utilizzava per alterare il passato, per consolidare il proprio dominio nel presente.
Se potevano mandare frammenti di storia nel passato per riscriverlo a loro vantaggio, allora io potevo provare a fare lo stesso.
Non per me. Per voi.
E ora siete qui.
State leggendo queste parole.
Questo significa che il messaggio è arrivato. Ma non so se è arrivato abbastanza presto.
Se siete in tempo per cambiare qualcosa, allora avete il potere di fermare un futuro che è già stato scritto. Forse, siete già parte di esso e il nemico, siete voi stessi.
O peggio, siete già stati scelti.
Amara Nyoni
Ex Presidente dell’Unione Equilibrata del Nord (NUE) Traditrice. Madre. Testimone.
Di Jack Campo
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