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Il crogiuolo delle nazioni

Popolo e nazione come programma politico

We the People. Così, com’è noto, inizia il preambolo della Costituzione degli Stati Uniti d’America. «We the People of the United States…», noi, il popolo degli Stati Uniti. In queste poche parole è racchiuso un programma politico: l’idea che esista una collettività dotata di volontà comune e capace di farsi soggetto della Storia.

Ora, Marc Bloch nella sua Apologia della storia notava che lo storico nel suo lavoro si trovava spesso di fronte a un problema. Gli esseri umani infatti hanno il vizio di prendere le parole dal passato e di riempirle di nuovi significati. Raramente, con l’inventare un nuovo concetto, inventano anche una nuova parola che gli corrisponda. Il caso di “popolo” e il caso di “nazione” sono paradigmatici di questo mutamento semantico che tante ambiguità e dubbi possono suscitare.

Popolo è un termine che esiste già, almeno nella forma etimologica più vicina all’italiano (e d’altronde anche alle altre lingue neolatine), dall’epoca dei romani. SPQR, Senatus Popolusque Romanus, recitavano le insegne repubblicane e imperiali. Nazione, da par suo, è invece più recente di qualche secolo e nasce solo nel medioevo. E tuttavia, né il popolus romano né la natio medievale avevano il significato che gli attribuiamo comunemente oggi.

Mentre il primo si identificava con l’insieme degli uomini liberi e però soggetti alla potestà di Roma e dei suoi istituti politici, il secondo identifica il luogo d’origine di una persona, ma nel suo senso più immediato ed “empirico”: si è nativi di un paese nel senso ristretto del villaggio di origine. Con questo senso, poi, il termine nazione finisce per indicare i gruppi di mercanti in giro per le città europee nel basso medioevo (la nazione genovese, veneziana, fiorentina che commerciava a Barcellona o Londra) e in seguito persino le gilde e le corporazioni: nazioni erano le comunità universitarie nelle città italiane.

Tanto popolo quanto nazione, insomma, stavano a indicare un rapporto organico tra l’individuo e la collettività. Un rapporto in cui il singolo veniva determinato in quanto membro di un gruppo più ampio, e tuttavia ristretto, che compartecipava alla definizione del suo ruolo nel mondo cioè della sua persona.

Con la presa del potere e la rottura dei vincoli di casta di Antico regime, la borghesia rivoluzionaria si trova di fronte a un problema. Rotto il legame organico che esisteva nella società fino ad allora esistente (e ben poco varranno le circonvoluzioni filosofiche di Hegel, che ancora negli anni Venti del secolo XIX sperava di veder rinascere tale legame nella corporazione come termine medio tra società civile e Stato), gli individui si trovano gettati nel mondo come tali, cioè come individui. Ognuno in sé indivisibile, ma parimenti separato e atomizzato dagli altri.

Era il trionfo del pensiero liberale, che già poteva vantare almeno un secolo di vita e che postula il monadismo individualistico come alfa e omega della propria visione del mondo. Un trionfo che, nonostante tutti gli sforzi del caso, nulla poteva contro la socialità dell’essere umano, il quale non può vivere scisso dai suoi simili e tende a riprodurre forme più o meno articolate di relazioni interindividuali entro cui dare senso alla propria esistenza.

Non solo. L’individualismo metodologico del pensiero liberale mal si conciliava con l’esigenza di contrapporre al particolarismo di ceto uno Stato unitario e forte, capace di porsi come terzo sopra le parti, mediatore dei conflitti e delle controversie, e soprattutto capace di essere garante dell’egemonia ormai raggiunta dalla borghesia vittoriosa. Uno Stato, insomma, a cui il bisogno di senso di appartenenza degli individui potesse trovare risposta, nel quale il singolo potesse identificarsi e per cui eventualmente lottare e morire.

We the People, La nation une et indivisible. Questi furono i termini che i rivoluzionari borghesi, americani e francesi, recuperarono dal passato riempiendoli di nuovi contenuti.

Contenuti innanzitutto antagonistici. Chi era il popolo? Cos’era la nazione? Erano i cittadini. Erano coloro che combattevano contro i parassiti, coloro che pretendevano di ristabilire il privilegio di sangue di contro al diritto dell’uomo. Popolo e nazione erano due bandiere da innalzare contro gli avversari politici, i quali dal canto loro non solo non erano parte del popolo e della nazione, e in virtù di ciò andavano eliminati anche fisicamente.

Un popolo e una nazione che quindi si coloravano di tinte fortemente politiche e civiche, in cui il germe dell’etnicismo o del razzismo non aveva ancora attecchito. Tant’è che membri della nazione e del popolo erano tutti coloro che si identificavano nel progetto rivoluzionario, anche se provenienti da altre lande lontane, e persino dall’altra parte del globo.

Quello tra nazione e lotta rivoluzionaria è un matrimonio che però dura poco. La nazione, infatti, in quanto concetto intimamente connesso a quello di popolo, e soprattutto all’istanza statale capace di incarnare la volontà del popolo (sovrano) e di portare avanti una politica unitaria, partecipa a costruire una triade: Stato-popolo-nazione. Una triade che però non ruota attorno all’ultimo termine, ma al primo. È attorno al perno dello Stato che può trovare sintesi e unità tanto il popolo, come insieme dei cittadini, quanto la nazione, come eredità transtorica trasmessa da una generazione all’altra.

Ma se è lo Stato il perno della triade, ecco che l’esistenza di Stati differenti rende i diversi popoli e le diverse nazioni le une aliene dalle altre. Non solo. La lotta tra Stati diventa immediatamente lotta tra i popoli e tra le nazioni. Con la fine della sua epopea rivoluzionaria, con la stabile conquista del potere e l’avvio dell’epoca di dominio, la borghesia non sancisce solo l’epoca del trionfo della questione nazionale (la Primavera dei Popoli) ma anche il periodo in cui la nazione e il popolo dismettono i panni del programma rivoluzionario per indossare quelli essenzialistici della razza e dell’etnia. L’appartenenza nazionale diventa qui l’espressione di sostanza, nel senso letterale di sub-stantia, ciò che sta sotto, comune agli individui che costituiscono un popolo e che hanno precise caratteristiche identificabili: la lingua, il colore della pelle, una certa fede, etc.

La fine dell’epoca rivoluzionaria per la borghesia impone quindi una trasformazione nel senso di ap-partenenza dell’individuo con la collettività: non più il progetto politico rivoluzionario, ma il senti-mento di comunità. La terra e il sangue, il Blut und Boden. Un principio di esclusività allergico a ogni forma di rapporto con l’alterità e che perdura tutt’oggi. Al crogiuolo nazionale e popolare viene contrapposta la purezza della razza o dell’etnia, e ogni spinta verso un mondo di eguali affonda nella lotta per la supremazia e il dominio del popolo eletto.

Non è necessario ricordare gli esiti di questa trasformazione. Se ancora durante la Prima guerra mondiale, le classi dirigenti che mandarono al macello milioni di uomini potevano fregiarsi di essere i paladini della Kultur o del civismo democratico contro i barbari oppressori (tanto che settori importanti del socialismo dell’epoca fecero proprie le parole d’ordine nazionalistiche in nome dell’emancipazione civica della classe lavoratrice). L’identificazione della nazione e del popolo con la razza superiore ha condotto negli anni Quaranta al peggior conflitto della Storia umana e all’uccisione di milioni di persone perché considerate indegne di vivere.

L’eredità di quell’esperienza storica è tutt’ora attuale. Oggi siamo nuovamente in un’epoca di nazionalismi (o come si usa dire adesso di patriottismi) di ritorno. Nazionalismi che dell’antica bandiera rivoluzionaria dei diritti dell’uomo e del cittadino non conservano ormai nulla, in favore di un etnicismo dalle sfumature razziste. Di fronte alle crisi belliche che attraversano il mondo, il rischio che il dulce et decorum est pro patria mori, di oraziana memoria, torni a essere il credo di una gioventù nazionalista e pronta a una guerra mondiale non appare un’ipotesi remota. Per questo, alla bandiera ormai logora di un’appartenenza nazionale e di popolo, è sempre più urgente opporre il progetto di un’umanità unificata al di là dei confini e delle barriere. Un’umanità in cui lo sviluppo di ciascuno sia davvero la condizione per lo sviluppo di tutti.

Autrici e autori

  • Laureato in Filosofia, in Scienze filosofiche e poi anche in Storia per onorare il proverbio secondo cui non ci può mai essere il due senza il tre, si occupa di politica mentre attende sia il momento di fare la rivoluzione. Nel frattempo fa anche MMA, per cui quando sarà il momento converrà essere dal suo stesso lato della barricata.

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