Crogiolo di etnie, religioni e costumi

I suoi abitanti lo chiamavano semplicemente Xšāça, l’Impero, e fu la seconda realtà politica più estesa del mondo antico, superata solo dalla confederazione mongolica-siberiana degli Xiōngnú. Arrivò a comprendere circa la metà della popolazione planetaria, all’epoca concentrata proprio nel Medioriente e in Egitto, un risultato rimasto a oggi ineguagliato. I persiani erano originariamente una popolazione di cavalieri e mandriani nomadi che dal settentrione erano calati in quella che avrebbero battezzato Airyanəm Vaēǰah, la Terra degli Arii, e che coincide grossomodo con l’odierno Iran e con una parte dell’Uzbekistan, cioè l’area compresa tra il lago d’Aral e i fiumi Amu Darya e Syr Darya, noti ai greci come Oxus e Jaxarte.
Assiri, babilonesi, elamiti e i loro consanguinei medi e sciti erano troppo presi dalle proprie contese per impedire che, tra il 705 e il 675 a.C., Haxāmaniš (Achemene) fondasse il regno di Parsumash. Prendendo per buona una genealogia mitizzata e dubbia, ma a precisazione della quale soffriamo una pesante carenza di fonti, furono gli esponenti della sua stirpe, o per meglio dire del suo clan, a regnare sui persiani per secoli. Nel 639, il re assiro Assurbanipal distrusse il Regno dell’Elam, sul Golfo Persico, ed essendo in buoni rapporti diplomatici con Kūruš (Ciro I), gli permise di assimilarne i territori. Nel 590, il re medo Ciassarre uccise il fratello di Ciro, Ariaramne, che governava una sua porzione di territorio persiano, chiamata Parsa. Anche in quel caso, la zona fu lasciata nelle mani di Ciro. Fu però il nipote di costui, Ciro II il Grande, che nel corso del suo regno, tra il 559 e il 530 a.C., trasformò il regno in un vero impero multietnico.
Sfruttando una fase di attrito tra il re dei medi Astiage e Babilonia, Ciro attirò le simpatie del generale medo Arpago, il quale appoggiò l’invasione persiana. Con un esercito relativamente poco numeroso, Ciro prese il controllo di Ecbatana e di tutta la Media, ma non uccise né maltrattò il deposto Astiage, anzi ne sposò la figlia Ameti e organizzò una politica inclusiva nei confronti dei nuovi sudditi. Dovendo poi gestire i razziatori sciti, li attaccò, ma ne incluse una buona parte nelle sue schiere come mercenari.
Con l’eccezione della potente Mileto, che rimase libera, le altre città furono assoggettate entro il 546. A quel punto, non restava che conquistare Babilonia. Nel 539, Ciro sconfisse l’esercito babilonese sul Tigri e riuscì a conquistare Babele praticamente senza colpo ferire. A Nabonedo, re di Babilonia, Ciro concesse il governatorato del Kirman, inoltre non permise alcun saccheggio, si mostrò subito benevolo con la nobiltà locale e particolarmente vicino ai sacerdoti di Marduk che lo presentarono al popolo come un emissario divino. Fece addirittura restituire le statue rubate ai templi babilonesi da elamiti e assiri nei secoli passati e affidò il governo della città a suo figlio Cambise. Per assicurarsi anche l’appoggio degli ebrei, ordinò che il Tempio di Salomone a Gerusalemme, saccheggiato e distrutto da Nabucodonosor, fosse ricostruito e ne restituì per intero il tesoro. L’alleanza tra ebrei e persiani durò oltre un millennio. In meno di vent’anni, Ciro unì sotto la sua autorità forze che si combattevano da secoli e poté presentarsi come pacificatore dei popoli del mondo.

Durante il regno di Ciro II si affermò anche il mazdeismo. Tradizionalmente, l’anno in cui il profeta Zarathustra avrebbe letto l’Avestā, titolo forse traducibile con “Lode”, al futuro padre di Dario I, Vištāspa, è il 568. Anche sulla cronologia delle predicazioni di Zarathustra, purtroppo, abbiamo solo dati molto incerti. Il suo libro sacro è giunto a noi mutilo e pieno di aggiunte appartenenti a epoche successive. L’arcaico politeismo persiano, controllato dai magi, richiedeva vaste cerimonie pubbliche, grandi feste, templi e sacrifici animali. Zarathustra affermò con forza che tutto ciò non fosse altro che un castello di menzogne e che non vi siano che due grandi divinità: il Bene, personificato da Ahura Mazdā, e il Male, personificato da Ahriman.
I magi furono esautorati agli occhi dei reggenti, perché questo culto non esigeva onerose sovrastrutture. Ahura Mazdā richiede all’uomo solo fede, buona condotta e meditazione. Il suo unico simbolo fisico, a parte animali sacri quali il bue, era il fuoco purificatore, ātar, tenuto perennemente acceso da un gruppo di officianti chiamati athravan. Non era nemmeno un culto contemplativo, perché il retto agire che predicava era spiccatamente sociale e pratico. Il mazdeismo prevedeva, inoltre, l’avvento di un salvatore messianico, il Saoshyant, che i cristiani associarono a Gesù di Nazareth e che portò quindi al mito dei re magi che lo avrebbero riconosciuto a Betlemme.

Per l’unità di questo impero immenso, fu fondamentale l’apporto di Dâriûsh I (Dario), re dal 522 al 486. Egli istituì un conio regio e completò, nel 517, la costruzione di un canale che unisse Mar Rosso e delta del Nilo, progetto risalente al faraone Necho che aveva regnato un secolo prima. Alla Via della Seta affiancò poi l’impressionante Via Reale di Persia che collegava Susa a Sardi, passando per Pteria in Cappadocia e il villaggio di Gaugámēla sul fiume Khazir, vicino ad Árbēla, l’odierna Erbil, diramando estensioni anche verso Babilonia. Da Susa erano poi già presenti dei collegamenti verso le aree più orientali in direzione di Bactra (Balkh) e verso sud, dove fu fondata Persepoli. Circa 2700 chilometri, percorribili da corrieri a cavallo nell’arco di nove giorni per portare ordini e notizie dall’area più occidentale al cuore dell’Impero. L’opera fu probabilmente un miglioramento e un’estensione di un precedente progetto assiro, ma il manto e i ponti furono così ben fatti che rimasero in uso anche dopo la conquista romana. Sebbene sia noto in Occidente soprattutto per la sua sconfitta contro gli ateniesi a Maratona del 490, va evidenziato che Dario pervenne alla totale sottomissione delle città ioniche con l’annessione di Mileto, conquistò la Tracia e consolidò il dominio persiano nella valle dell’Indo. Scelse Susa come capitale e fondò, appunto, Persepoli, i cuoi sontuosi palazzi sarebbero diventati praticamente la reggia di Versailles dell’antichità, simbolo di un potere assoluto ed ecumenico. Essi univano stili provenienti da ogni parte dell’Impero: terrazzamenti babilonesi, colonnati ionici, portali egizi, disegni urartei e sculture ittite o assire. L’architettura combinatoria e l’arte eclettica resero Persepoli un monumento all’universalismo persiano. Da quel momento, le monumentali tombe dei re furono poste nei suoi paraggi.
Le cose iniziarono a funzionare meno con l’avvento di Xšayāršā I (Serse), re dal 486, il quale assunse un atteggiamento più repressivo verso le ribellioni, distruggendo mezza Babele e deportandone a Susa gli abitanti per domarne l’insurrezione del 482. Due anni dopo concentrò sull’Ellesponto, cioè i Dardanelli, migliaia di navi, soldati e operai. Fece loro creare un canale sul promontorio dell’Athos, collassato poco dopo il suo utilizzo, e dei ponti di barche. Al netto delle esagerazioni di Erodoto, l’armata persiana doveva comprendere dalle tre alle cinque centinaia di migliaia di unità. L’immensa forza militare fu rallentata dalla resistenza incontrata al Capo Artemisio di Eubèa e alle Termopili, entrò in un’Atene abbandonata dagli abitanti che si erano rifugiati a Salamina e li assalì nello stretto tra essa e il Pireo, trascurando di considerare l’inferiore manovrabilità delle proprie navi. La sconfitta fu disastrosa e costrinse i persiani a ritirarsi per riorganizzarsi, dando così il tempo agli avversari di consolidare una forza di risposta che, nel 479, risultò schiacciante a Platea e a Micale. Il subitaneo contrattacco ellenico rese instabile ogni possedimento persiano in Europa, sull’Egeo e persino nella Ionia. Avvezzo a mettere i propri nemici gli uni contro gli altri e ad affrontare poche grandi battaglie campali o assedi, l’esercito di Serse fu sfiancato da un fronte inopinatamente unito e dall’ottimizzazione del lavoro di squadra, garantita dalla falange oplitica che ottimizzava forze numericamente inferiori. Umiliato, Serse finì al centro di intrighi politici che non seppe gestire e fu assassinato dai suoi collaboratori più stretti, nel 465.
Di Ivan Ferrari
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