LA BOMBA GAY (Parte 9)

Dopo un inizio scoppiettante, l’operazione BoNoBo si è infilata in un cul-de-sac.

Ma bisogna andare con ordine.

Ordine cronologico a contrasto del disordine mappale causato dal Gruppo Wagner, giocando a Risiko nella guerra intestina del Sudan, nei conflitti in Mali, nelle sommosse in Repubblica Centrafricana sconfinando in Chad, nelle guerre civili di Niger e Burkina Faso, nei brogli elettorali in Madagascar e negli scontri in Libia, Mozambico, Guinea, Angola e Congo. Per dirla alle corte: su tutto lo scacchiere africano. Come disse Pennac, scrivere la storia significa scombinare la geografia.

Ora, vicino alle curve del Nilo Bianco, in una tenda da campo nella macchia fuori dalla città di Juma, siedono in tre su sdraio pieghevoli di tela beige bevendo carcadé, protetti da una torma di lanzichenecchi con AK-103, mitra PKM e Dragunov.

C’è Pëtr Byčkov, stratega della Wagner negli affaires africani, in mimetica leggera a insaccargli la pancia sporgente. All’altro spigolo dell’isoscele uno dei responsabili finanziari della Lobaye Invest, ennesimo burattino monetario creato da Prigožin, che già possiede casinò, boutique e catene di hot dog, ma tra non molto andrà in mille pezzi per l’ordigno piazzato a bordo del suo aereo privato.

Il suo incaricato se n’è servito ieri per volare fino alla capitale del Sud Sudan in tempo per il summit. Sulle scarpe da trekking e i pantaloni cerati veste una bella camicia, promemoria all’estrazione da laureato in Sociologia delle relazioni internazionali presso l’Università di Mosca, con una tesi sul confronto fra greci e persiani alla sorgente della cultura eurasiatica. Relatore, Aleksandr Dugin.

Ultima punta, il comandante dei Black Russians, i ribelli africani usciti dalla Union For Peace. È un nero del clan dinka dalla pelle color formica. Resta imbottito nella tuta d’assalto con la patch del teschio wagneriano cucita sul deltoide che lo impaccia nel portare il bicchiere alla bocca tra le pause del suo lungo report.

La scelta è ricaduta sui cosiddetti Warriors, spiega definendo il target in un manipolo di reietti misti fra tribù Turkana, Karamojong e Moro rifugiati oltre frontiera e volti alla guerriglia. Erano il capro espiatorio ideale per l’operazione BoNoBo, visto che di loro non frega niente a nessuno.

BoNoBo è acronimo di Bozh’ya Novaya Bomba, che in cirillico è tipo “La nuova bomba divina”, ma che per sadica inventiva del saputo ex assistente universitario della Lobaye (ibrido fra Marchionne e Palazzolo), è anche il nome della scimmia che, secondo gli etologi, più sovente si concede ad atti di omosessuale simonia.

Insomma, questi stupidi Warriors non furono da meno delle scimmie non appena soggetti ai primi test della Gay Bomb, assemblata nel laboratorio di Bossangoa nella provincia dell’Ouham. Deposero immantinente le armi, chi fucili sgangherati chi i machete aviti, calarono infine chi le braghe chi lo shuka mischiandosi fra gemiti acuti e impellenti. Lo sfogo di un’orgia negra e lancinante.

I mercenari avrebbero già potuto farne spezzatino, lasciandoli in tocchi ancora vergognosamente incastrati fra i loro orefizi, ma non era quello lo scopo della missione e i test andavano protratti. Si diedero quindi a pedinarli nella sconvolta fuga verso sud, quasi una transumanza di gnu, sfilando lande puntellate di struzzi e dromedari, finché però montarono i guai.

Avanti, sentiamo! Fomenta gospodin Byčkov.

Spagliandosi oltre il confine ugandese, i Warriors si sono confusi coi locali, che spesso li supportano tacitamente.

Non è vero allora che a nessuno frega di loro.

Così pare, risponde il comandante. In molti villaggi in effetti li hanno coperti e per snidarli i nuovi test hanno travolto purtroppo anche parte della popolazione civile.

Madonna Odighitria! Doveva essere un cesello, non la solita sbracata.

Non l’avessimo mai fatto, appunto. Si figuri un paese che commina fino a dieci anni di carcere per qualsiasi invertito, se non intervengono prima Sharia e lapidazione, come può accogliere una pandemia di frociaggine. Alcuni ci accusavano di magia nera, altri ci chiamavano Janjawid, i demoni a cavallo, tant’è che abbiamo dovuto riparare di corsa a nord del Kidepo.

Scorre un momento di sconfitto imbarazzo.

Prima di decretarvi rincoglioniti fottuti, vorrei vuotasse tutto il sacco, comandante. Ho udito di certe patetiche gag.

Non è colpa nostra se le maschere antigas hanno toppato!

Le maschere funzionano a meraviglia, interviene l’edotto finanziere, È solo che ancora non si è ben capita la contaminazione dei feromoni.

Fatto sta che i nostri si sono scorpacciati un bel ritorno di fiamma.

Ebbene?

Con tutto il rispetto, si immagini dei galeotti assoldati in Siberia in pieno esilio, portati fin qui senza donne eccetto quelle polpette all’Aids che li approcciano nei bar, se non snifferebbero volentieri una droga capace di fargli finalmente apprezzare quanto a portata di mano i camerati offrono gratis fra le gambe. Come dare il gelato agli eschimesi.

Si fermi qui, la prego, può bastare.

Il capo in comando si pinza con le dita la pelle fra le sopracciglia, scuotendo la testa disanime.

Questa cosa sta sotto la sabbia almeno finché al mio principale non hanno conferito l’Ordine dei due Nili, se no son dolori.

Pensi a me che devo fare rapporto a Utkin, quello mi ammazza.

Beninteso, allora. La chiudiamo qui, prima di prenderla in culo anche noi.

I sorrisi tornano a stendersi in giro per la tenda, contagiando anche le guardie dritte in piedi.

Be’, al massimo ricorderemo che persino i fieri spartani usavano consumare fra loro per rafforzarsi la virilità, celia l’imprenditore addottorato. Il mio maestro mi raccontò questa storiella degli anziani di Sparta che gettavano dalla rupe i bambini maschi deformi, sollevandoli nudi per la caviglia. Fermi! Gridò una volta la madre di un neonato, quella è mia figlia!

Caricata da un sibilo contratto fra le labbra, nella compagnia parte fra tutti uno scoppio di risa.

[prosegue…]

Federico Filippo Fagotto

illustrazioni di Diletta Fiore Pappagallo

Autrici e autori

  • Federico Filippo Fagotto, direttore editoriale della rivista La Tigre di Carta, presiede l’Associazione culturale La Taiga che gestisce il teatro e circolo culturale Corte dei Miracoli. Appassionato di scrittura, pubblica nel 2021 il suo primo romanzo: L'invenzione di Casares (Bookabook Editore), cui seguono Flæsh (Santelli Editore, 2024) e, in prossima uscita, Rever (Do It Human Editore, 2025).

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