Bonjour Monsieur Sim!

Quattro chirurgiche parole su chi ne scrisse tantissime

Nei primi anni Trenta, quando nacque il commissario che gli avrebbe dato il successo internazionale, Georges Simenon (Liegi, 1903 – Losanna, 1989) era un autore appena trentenne con all’attivo centosettanta romanzi e settecento racconti. Questi numeri, già a quel momento vertiginosi, diverranno inverosimili al termine della carriera: quattrocentocinquanta romanzi “da bancarella”, centosette storie con Maigret protagonista, tremila articoli e diciassette pseudonimi accertati. Soprattutto, centonovantatré romanzi “duri”, tra i quali una trentina mal contata di capolavori. Sommamente sconcertante: ventiquattro libri di memorie, il più celebre dei quali, Memorie intime, conta milletrecento pagine. Pare che Simenon fosse in grado di concludere un romanzo in una settimana, al ritmo di sessanta cartelle al giorno. Non a torto Andrea Camilleri, che del maestro belga era ammiratore e discepolo, lo definì “una macchina per scrivere umana”.

Nonostante il plauso di scrittori di assoluto livello (André Gide non si perdeva una pubblicazione, Céline amava follemente I Pitard, Hemingway divorava i suoi romanzi), Simenon è a tutt’oggi considerato un autore prevalentemente commerciale. Il suo stile semplice e spoglio, unito al rifiuto d’ogni ricerca d’effetto letterario e a una difficile collocazione ideologica, non gli hanno conquistato i favori dell’accademia. Al contrario, il successo di pubblico fu e rimane strepitoso; a oggi si stimano almeno cinquecento milioni di copie vendute. E parte di questo straordinario successo va ricercata proprio nella qualità della sua scrittura, così spontanea, così fluente, così specificamente francese, con quei punti esclamativi come baionette e i continui puntini di sospensione, a frammentare il discorso diretto, a restituire le giravolte e l’irregolarità della lingua parlata..

Al centro delle storie di Simenon c’è sempre l’individuo, spesso l’uomo comune, conformista, miserando o di successo, a volte addirittura repellente, colto nel momento cruciale in cui si trova a scoprire sé stesso. I personaggi simenoniani sprofondano in vicende più grandi di loro: costretti a fare i conti con le proprie pulsioni e i propri limiti arrivano a conoscersi origliando i propri pensieri, assistendo esterrefatti alle proprie azioni. La continuità, la monotonia dell’esistenza borghese viene spezzata da un avvenimento, a volte fattuale, a volte soltanto psichico, che li costringe a dirsi la verità, a rivelarsi, scegliendo infine se realizzarsi o annullarsi. Il momento decisivo, dunque, intorno al quale collassa e sboccia l’esistenza individuale. In questa capacità di scandagliare l’animo umano risiede la grandezza di Simenon, unita alla diabolica capacità di dar vita a un protagonista con otto parole, a un personaggio di contorno con sole quattro, chirurgiche, scegliendo sempre il dettaglio perfetto. Come quei medici eccezionalmente esperti e acuti che sanno diagnosticare una malattia vedendo soltanto la fotografia d’un uomo. Non a caso la medicina fu la seconda passione di Simenon, e il suo commissario Maigret frequentò tre anni di medicina finché, alla morte del padre, dovette abbandonar l’università e finì per caso in polizia.

di Tommaso D’Orfeo

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