“…e buttare via la chiave”

Una storia sull’evoluzione dei sistemi di custodia e cura del paziente psichiatrico autore di reato

In occasione del Centenario della nascita di Franco Basaglia abbiamo chiesto a Federico Grasso – fedelissimo della nostre rubriche di Psicologia e Medicina – un contributo per ricordarlo. Una storia del manicomio criminale e dei sistemi di custodia e cura del paziente psichiatrico. Al centro la persona che in questi luoghi dovrebbe scomparire, perché la società se ne dimentichi: il paziente psichiatrico. Franco Basaglia e i suoi collaboratori diedero una nuova dignità al paziente “criminale” e ancora oggi molti lottano contro le regressioni della nostra società, guidati anche dal suo lavoro. – La Redazione.

La necessità di individuare un luogo di custodia per ciò che è pericoloso per la società non è recente. L’ospedale Salpetrière, fondato nella metà del 1600 in Francia sotto la monarchia, deve il nome allo scopo originale per cui l’edificio fu ideato: il salnitro.

Il primo manicomio della storia nacque dunque come fabbrica per la produzione di polvere da sparo, un materiale pericoloso, dal quale la popolazione di Parigi doveva essere tutelata e protetta. In seguito, e con una certa ironia, la struttura iniziò a ospitare altre figure dalle quali le strade di Francia dovevano essere tutelate e protette: mendicanti, assassini, ladri, truffatori e malati di mente.1

I criminali e i pazienti psichiatrici vennero dunque manifestamente posti sullo stesso piano e destinati al medesimo trattamento: l’isolamento e la reclusione forzata. Il folle divenne così il pericolo, il pericolo fu follia da imprigionare e per cui non vi è cura.

La nascita del manicomio. Protezione e custodia del malato psichiatrico


Per una scissione un po’ più netta tra il criminale, il folle criminale e il malato di mente non pericoloso si dovette attendere, almeno per quanto concerne l’Italia, la seconda metà del 1800, quando si definì il concetto del cosiddetto Doppio Binario.

Fu, questo, un sistema sanzionatorio nuovo, ancora oggi in vigore, che ripartiva le prese di posizione dello Stato nei confronti del reato distinguendo le pene, da un lato, e le misure di sicurezza dall’altro.2

La differenza tra l’una e l’altra misura (la pena e la misura di sicurezza) deriva dalla capacità del soggetto reo di essere in grado di intendere e volere al momento in cui compie il crimine. Se tale capacità è conservata, egli è allora responsabile delle proprie azioni e punibile per legge.3

Se però la capacità è compromessa, del tutto o in parte, da un infermità – o vizio – di mente, il soggetto non è più imputabile e, dunque, punibile secondo i consueti orientamenti politici e giudiziari.4 Egli, piuttosto, dovrà essere curato al fine di evitare che ricorra nuovamente nell’atto criminale a causa del suo vizio di mente.

Secondo l’articolo 203 del codice penale si definisce: ‘agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile […] quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati’.5

Quindi vengono distinti:

. L’autore di reato: soggetto reo dichiarato capace di intendere e volere al momento in cui ha compiuto il reato. Punibile per legge con una pena commisurata al reato.
. Il paziente psichiatrico che non ha commesso reato: soggetto infermo di mente da custodire e curare in apposita struttura, cioè il cosiddetto manicomio. Si ricordi: siamo ancora alla seconda metà del 1800.
. Il paziente psichiatrico autore di reato: soggetto reo dichiarato incapace di intendere e volere al momento in cui ha compiuto il reato. Non punibile per legge.


Ora, in merito al soggetto reo capace di intendere e volere il destino sembra chiaro: un carcere, una pena, una redenzione. Ma il paziente psichiatrico socialmente pericoloso, che potrebbe dunque perpetrare di nuovo il crimine pur non avendone colpa, che fine fa?

Non può stare in società, perché pericoloso per gli altri, né può essere messo in carcere, perché bisognoso di cure. Si rende dunque necessaria l’istituzione di un ospedale apposito, diverso dal semplice manicomio civile, una nuova Salpetrière. Dalla fine del 1800 nascono così i manicomi criminali.

Sorvegliare e punire

Dagli anni ’70 circa del XIX secolo fino alla famosa legge 180 del 1978 coesisteranno dunque i manicomi civili da un lato (definitivamente regolamentati però solo nel 1904 da Giolitti6) e i manicomi criminali dall’altro (il primo fu del 1876 ad Aversa).

Difficile, comunque, individuare una netta differenza tra i due. In merito ai manicomi civili, per esempio, la legge succitata 36/1904 sotto Giolitti connotava in modo molto netto la psichiatria nel mandato di controllo sociale e dava pieno potere al Direttore del manicomio di decidere in pressoché quasi totale autonomia ingressi e dimissioni, con rischio enorme per le libertà personali dei cittadini.

Tanto nei manicomi civili quanto in quelli criminali, così, i cosiddetti ‘malati psichiatrici’ che venivano rinchiusi finivano per essere mendicanti, disoccupati, vagabondi, gente sulle quali lo stato riteneva si dovesse esercitare un controllo sociale e non un’attività di cura.

Le terapie, poi, altro non erano che le famose pratiche barbare e disumane che oggigiorno vengono mostrate solo in documentari e film horror: bagni freddi, elettroshock ripetuti (in alcuni ospedali si praticano ancora oggi terapie elettroconvulsivanti, ma le loro indicazioni sono estremamente selettive e più regolamentate), lobotomie, contenzioni fisiche persistenti della durata di giorni o settimane.7

La legge 180 e gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

Questo quadro rimarrà invariato fino alla famosa e necessaria legge 180 del 1978, quando si comincerà a muoversi per la chiusura dei manicomi tout court e l’apertura di reparti psichiatrici ospedalieri e di Ospedali Psichiatrici Giudiziari, OPG.8

A partire dall’operato di Basaglia, infatti, si pone una radicale distinzione, mai davvero avvenuta prima se non sulla carta e non nei fatti, tra il malato psichiatrico, meritevole di cure ospedaliere come una qualunque altra persona affetta da patologie organiche, e il malato psichiatrico reo che, oltre a cure, necessita di custodia cautelare lontano dalla società, pur con i dovuti trattamenti e in condizioni dignitose e umane. Questo, almeno, in teoria.


In tutta Italia esistevano, al momento della loro chiusura definitiva nel 2015, solo 6 OPG, ex manicomi carcerari, dotati però di una capienza considerevole, che andava da un minimo di 100 posti per l’OPG di Napoli fino a un massimo di 437 posti letto per l’OPG Barcellona Pozzo di Gotto.

Degli altri, i più celebri sono di certo stati quello di Montelupo Fiorentino, già attivo come manicomio criminale dalla fine dell’800, e quello di Castiglione delle Stiviere (capienza poco meno di 200 posti, ma occupato da quasi 300 persone all’atto della chiusura9).

Il percorso di chiusura degli OPG e la nascita delle REMS

Dopo un’indagine parlamentare che accertò le condizioni di estremo degrado degli istituti e la generalizzata carenza di quegli interventi di cura che avevano motivato l’internamento dei pazienti, gli OPG furono aboliti nel 2013, secondo la legge del 17 febbraio 2012, e definitivamente chiusi il 31 marzo 2015 secondo la legge n°81 del maggio 2014. Già nella sentenza della Corte Costituzionale n°253/2003, comunque, si definivano gli OPG come illegittimi.


Il percorso di chiusura degli OPG fu dunque lento e difficile, cominciato nel 2003 e terminato definitivamente solo nel 2015.

Il passo in avanti, però, non risolse la questione più importante di tutte, e che già dalla Salpetrière del 1600 non trovava soluzione: come gestire i pazienti psichiatrici socialmente pericolosi?

Con la chiusura degli OPG migliaia di persone si sono trovate improvvisamente senza una casa, un reddito, prive di competenze per vivere in società, essendo state così a lungo allontanate dalla stessa.

Alcune, inoltre, erano ancora da ritenersi pericolose per gli altri e, dunque, meritevoli di un ulteriore percorso di cura. Non potevano andare in carcere, perché giudicate incapaci di intendere e volere, né potevano restare anni in ospedale.

Ci fu bisogno di qualcos’altro, strutture diverse, ma simili, agli OPG. Nacquero, così, nel 2015, le Residenze per le Misure di Sicurezza, o REMS10.

Le Residenze per le Misure di Sicurezza, fin da subito una soluzione parziale


Le REMS sono strutture residenziali con funzioni terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative, con permanenza definita transitoria ed eccezionale. L’internamento in REMS è applicabile “solo nei casi in cui sono acquisiti elementi dai quali risulti che è la sola misura idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla pericolosità sociale dell’infermo o seminfermo di mente”.10

Esse sono, in altri termini, l’evoluzione di ciò che avevano provato già a essere gli OPG per i manicomi e, pur portando innegabilmente migliorie, rimangono comunque una soluzione parziale a un problema complesso.

Le REMS in tutta Italia, infatti, sono solo una quarantina scarsa e, fatta eccezione per Castiglione delle Stiviere, che conserva numeri attorno ai 160 posti letto, tutte le altre REMS su territorio nazionale presentano una ventina al massimo di ricoveri disponibili.11

Si calcola che i pazienti psichiatrici autori di reato in attesa di collocazione siano almeno seicento in tutta Italia. La permanenza media in una lista d’attesa è pari a circa dieci mesi, ma in alcune Regioni i tempi per l’inserimento in una REMS possono essere ancora più lunghi.12

Tale criticità ne porta altre direttamente conseguenti: il ritardo nell’avvio di un percorso comunitario riabilitativo per persone che, lo ricordiamo, sono affette da malattie mentali e dunque meritevoli di avviare quanto prima tale percorso, nonché la difficoltà di gestione ospedaliera – e i lunghi ricoveri – di persone che, al contempo, sono anche pericolose per chi sta a loro intorno, operatori sanitari e altri pazienti.

Si vengono quindi a ledere i due diritti fondamentali in gioco: il diritto alla salute del malato e alla tutela pubblica.

Il ritorno della custodia, la fine della cura?

Siamo ben lontani dall’aver trovato una soluzione a questo problema secolare: dove collocare il paziente psichiatrico socialmente pericoloso, se i posti disponibili nelle strutture adibite a cura e custodia sono tutti occupati?

L’unica soluzione, a ora, resta l’ospedale psichiatrico, che dunque torna ad assumere un ruolo custodialistico, non di cura, e allo psichiatra viene attribuito un dovere di ordine pubblico, non solo sanitario.

Si fa dunque un passo indietro, a prima della legge Basaglia: il reparto di psichiatria torna a riempirsi di folli criminali in attesa di altra collocazione, le porte vengono chiuse e solo lo psichiatra (o il giudice) può decidere quando riaprirle.

Per controllare la violenza e proteggere gli altri pazienti e gli operatori si deve ricorrere alla contenzione al letto, alle camere imbottite, la sedazione farmacologica…


È innegabile che Basaglia abbia determinato una grandissima rivoluzione nella psichiatria moderna, ma la spinta impressa si sta ora esaurendo. Si rischia la stagnazione in un sistema privo di sbocchi, che minaccia di crollare su se stesso e che, anzi, già accenna i primi passi all’indietro.

I posti letto nelle REMS sono pochi, non vi sono strutture intermedie adeguate e gli ospedali di psichiatria, che dovrebbero dedicarsi a pazienti psichiatrici in scompenso, si riempiono di tossicodipendenti e alcolisti che le famiglie non vogliono a casa, giovani affetti da ritardo mentale aggressivi, criminali a cui un avvocato è riuscito a strappare l’incapacità di intendere e volere, extracomunitari privi di assistenza sanitaria adeguata e relegati ai margini della società.

È un quadro desolante, che pericolosamente ricorda, per tipologia di pazienti citati, quello della Salpetrière del 1600.

La comunità al lavoro per la cura del paziente psichiatrico

Eppure ancora si lavora per il meglio: in tutta Italia ci si muove verso ospedali no-restraint, privi di contenzioni, e in alcune realtà addirittura verso i cosiddetti reparti aperti, che già esistono.

Le stanze sono spaziose, le lenzuola pulite, il cibo identico a quello di qualunque altro reparto ospedaliero. Molti sono gli psichiatri che si battono per scrollarsi definitivamente di dosso l’etichetta di custodi dell’ordine pubblico, altrettanti quelli che cercano di prevenire il ritorno ai manicomi: creano reti coi tribunali, protocolli d’intervento coi servizi sociali, confronto continuo coi parenti e le istituzioni.

Si costruiscono comunità intermedie, più custodiali degli ospedali, ma meno chiuse rispetto alle REMS, centri di recupero per i tossicodipendenti, interventi di supporto per le famiglie, reti sul territorio. È un lavoro lento, faticoso, che dà poche soddisfazioni.

È lontanissimo dal dirsi concluso – anzi si è solo all’inizio – ma sta procedendo e sta cercando di cambiare ancora una volta una realtà scomoda e che ai più conviene non vedere, quella del malato psichiatrico.

Che a molti fa paura, che sarebbe meglio rinchiudere da qualche parte, dicono, e buttare via la chiave.

  1. Jean-Pierre Carrez, « La Salpêtrière de Paris sous l’Ancien Régime : lieu d’exclusion et de punition pour femmes », Criminocorpus [En ligne], Varia, mis en ligne le 01 janvier 2008, consulté le 19 février 2022. URL : http://journals.openedition.org/criminocorpus/264. ↩︎
  2. M. PELISSERO, Pericolosità sociale e doppio binario. G. Giappicchelli editore, Torino, 2008. ↩︎
  3. Codice Penale, articolo 85. ↩︎
  4. Codice Penale, articoli 88 – 98. ↩︎
  5. Codice Penale, articolo 203. ↩︎
  6. Legge 36/1904, gazzetta ufficiale n. 43 del 22 febbraio 1904. ↩︎
  7. De Carolis, F. (2017). “Elettroshock, se non è una tortura è disumanità”. ↩︎
  8. Legge 180/1978, gazzetta ufficiale n. 133 del 16 maggio 1978. ↩︎
  9. Rapporto Antigone su OPG di Castiglione delle Stiviere, associazioneantigone.it, Associazione Antigone. ↩︎
  10. Legge 81/2014, gazzetta ufficiale n. 125 del 31 maggio 2014. ↩︎
  11. Salute mentale e REMS, su XV rapporto sulle condizioni di detenzione, 11 maggio 2019. ↩︎
  12. Corte Costituzionale, sentenza 27 gennaio 2022, n 22 art. 5.3 e 5.4. ↩︎

Autore