Lo Spiantato – Prolegomeni pornografici

Come gran parte dell’umanità mi servo della pornografia. Essendo un frequentatore abbastanza assiduo dei vari portali, ho potuto riflettere molto su di essa (sì, avete letto bene), e ho notato a un certo punto che mi annoiavo: l’iconologia pornografica è sempre uguale a se stessa, reiterata, senza alcuna vera e propria spinta verso qualcosa di effettivamente stimolante, come dire, gioca sempre in casa. Scrivo questo non perché deluso dalla trama dei video pornografici – sarei un idiota – ma proprio per la messa in atto del sesso: l’uomo, il cui volto compare poco (e tendenzialmente per sbaglio), e la donna, vero epicentro, nucleo fondante, sono rappresentazioni banali, trite, stancanti di rapporti trascinati e poco coinvolgenti.

Si è già detto tanto relativamente al concetto di donna soggetto/oggetto, altrettanto si è detto sul fatto che la donna è protagonista perché il porno è rivolto a un pubblico perlopiù maschile. Ovviamente ci sono le categorie gay o solo male in cui l’uomo è protagonista, ma sono rivolte esclusivamente a un pubblico omosessuale; nulla in confronto alle altre in cui sono sempre rappresentate delle donne sul frontespizio: sono di ogni tipologia, dalle scopate brutali alle lesbiche, fino ai trans.Victor Attilio Campagna Lo spiantato

La donna, insomma, è un ossimoro nel porno: da una parte regge tutto il gioco, dall’altra è considerata solo come un oggetto di desiderio. Il che non sarebbe del tutto un male, se non fosse che questo desiderio comunicato è molto squilibrato: il maschio non gode. I suoi rumori sono uniformi, non ansima, non si sente il suo orgasmo come qualcosa di vivido a differenza della donna, che lancia grida afrodisiache e mostra appieno il suo orgasmo. L’uomo è solo un meccanismo, il cui orgasmo è rappresentato dal getto di sperma in bocca o sul corpo della donna. Il suo ruolo finisce lì. Quindi l’uomo, nel porno, non gode. Fa godere, ma non gode. Ci sarebbe da discutere sul come fa godere, ma si cadrebbe nella banalità. Purtroppo nella realtà molte persone credono che il porno sia una plastica resa della realtà e quindi ritengono un dovere categorico far venire il proprio partner, altrimenti nascono tremendi sensi di colpa (quante volte avete chiesto impacciati: “Ehi, ma ti è piaciuto, cioè, sei venuta?”). Ovviamente non funziona così: l’uomo come la donna può fare cilecca, può non venire bene, può rimanere insoddisfatto da un rapporto, tanto quanto la donna. Tuttavia, il problema continua a non essere affrontato: una soluzione sarebbe la creazione di ore di educazione all’emotività, al sentimento e alla sessualità durante gli anni scolastici, dalle elementari, fino al liceo, in cui spiegare progressivamente cose che spesso vengono taciute. Problema ancora più grave è che questo silenzio provoca poi atti iniqui, come la violenza sulle donne o pratiche quali il soffocamento durante l’amplesso oppure il forzare la mano durante il sesso orale.

Infatti, le pulsioni erotiche, se lasciate solo alla pornografia che conosciamo, finiscono col causare molte frustrazioni e incapacità nelle relazioni, che portano, al di là dei casi estremi, anche a dolori più quotidiani, come il lasciarsi o il tradire perché insoddisfatti. Perciò di sesso bisogna parlare e bisogna parlarne bene. D’altra parte credo che nell’industria del porno ci sia una forma che potrebbe in parte supplire all’esigenza di realtà di cui molti hanno bisogno, ed è il porno femminismo, dove la sessualità è trattata a tutto tondo, cercando di darle una ventata di maggiore realtà. Io stesso sono passato al porno femminismo, perché non dà noia. È molto più eccitante e realistico e attento al godimento, nonché alle sfumature sottili dell’eccitamento.

Resta che bisogna parlarne, senza vergogna, perché non c’è nulla di cui vergognarsi. Iniziamo magari con l’evitare di andare in navigazione privata o cancellare la cronologia e vivremo magari più serenamente la nostra sessualità.

Autore

  • Tre anni di Lettere Antiche, ora a Medicina e Chirurgia. Per non perdere l'identità si rifugia nella letteratura, da cui esce solo per scrivere qualcosa. Può suonare strano, ma «Un medico non può essere tale senza aver letto Dostoevskij» (Rugarli).