Il tempio dell’irragionevolezza

Su La cengia del corvo di Emilio Paolo Taormina

La domanda più stupida che si possa porre a un poeta è cos’è la poesia. Il problema è che la quasi totalità dei mass media, quando intervistano un poeta, pongono questa domanda sciagurata – e non credo sia un caso. Ancor più stupido tuttavia è il poeta che risponde seriamente e non svicola lanciando frecciatine al o alla giornalista.

La cengia del corvo Taormina

Ebbene, leggendo La cengia del corvo del poeta palermitano Emilio Paolo Taormina (Edizioni del Foglio Clandestino, 2016), mi continuavo a chiedere cosa fosse la poesia. Perché in questo autore c’è un linguaggio piano, al limite della quotidianità, frapposto a una struttura particolare del testo sulla pagina, una forma che ti porta a leggere questa raccolta non secondo i singoli componimenti, ma secondo il complesso del testo che si sviluppa gradualmente. È un testo inusuale proprio per questa sua impronta particolarissima, in cui il tratto distintivo è una continuità dispersiva. È così che prende le mosse una lettura lenta e veloce insieme, che si ferma, riparte, rivede, trattiene alcuni versi, ne lascia andare altri, ma tutto in una continuità perversa. Si potrebbe tranquillamente parlare di poema lirico: il tono è infatti lirico, frammisto a una narrazione continuativa con sprazzi d’identità che emergono nelle venature dei vari testi.

Protagonista è l’occhio del poeta che errando sparge il suo sguardo attento e lo rivolge con attenzione a ogni minimo particolare, ne trae dei sentimenti, delle espressioni, dei quadri che ricordano l’epigramma, ma orientato verso una continuità. Il poeta si muove in un ambiente perlopiù naturale, marino, una natura infantile, parziale, corrispondente agli umori dell’autore che spezza il tempo in alcuni frammenti raziocinanti. Una natura fortemente legata alla sua terra, la Sicilia, di cui si respira ogni frammento, ogni aspetto, grazie a descrizioni brevi, acute, di un moto continuo che è quello sonnolento di una terra che pare dominata dall’egida dell’ambiente in cui è posta. Taormina pare quasi integrarsi con l’ambiente e diventare elemento naturale di per sé, tritando il linguaggio grado a grado secondo gli assi di una realtà che si costruisce nel contrasto.

Riprendendo il concetto iniziale, di cui rimango convinto, credo che cos’è la poesia sia una domanda che ci si deve permettere: nasce da letture di testi particolari, che permettono di rivedere sottilmente le argomentazioni relativamente a cosa sia la poesia. Sappiamo tutti che sarebbe ridicolo dire che “poesia è andare a capo”; è più corretto affermare che la poesia muta con l’ambiente in cui vive, mantenendo però delle tracce di un passato che è da contare in ogni testo, da ogni poeta. C’è un portato inconscio in ogni verso che rende poesia poesia, nonostante le differenze prosodiche, teoriche, pratiche, metaforiche… In Taormina il linguaggio, lo stile, il modo di descrivere la realtà sono elementi che mischiano due generi poetici in maniera quanto meno originale. Per questo diventa legittimo chiedersi cosa sia quella poesia, quel tipo di poesia. Ecco, è una modalità espressiva che riesce a dare voce a una terra. E alla terra appartiene. Per questo è così frammentaria e unitaria al contempo, perché la Sicilia è terra di contrari e con questa regione ossimoro, dove tutto convive e ha convissuto, Taormina è riuscito a fondersi, dando vita a un testo poetico di valore, oltre che estremamente leggibile e godibile.

di Victor Attilio Campagna

Autore

  • Tre anni di Lettere Antiche, ora a Medicina e Chirurgia. Per non perdere l'identità si rifugia nella letteratura, da cui esce solo per scrivere qualcosa. Può suonare strano, ma «Un medico non può essere tale senza aver letto Dostoevskij» (Rugarli).