L’eone assetato

Acqua, da te veniamo
e in te siamo.
Chi può dire perché è così?
Cosa ti rende liquida?
Quale goccia ci nutre?

Alza gli occhi e guarda
il cielo notturno,
il passare,
l’eterno,
lì.
L’onda che bagna,
la baia e il golfo,
l’isola nel buio
perso,
nel sublime.

La sabbia si bagna,
l’oceano uragano,
apriti,
da lì viene colui che è.
In gioventù possiedi
e mai hai smesso di farlo,
quale ira mi porti?
Il tuo annuncio,
come rovinosa presenza,
consegnò le chiavi
al fedele pastore.

Vidi la mano
dal grande cerchio,
la Luna aprirsi
e farsi cascata,
la luce riversa
nelle acque antiche,

Ma ora, ora! Che i mari si versano
e il buon Dio si scioglie ai nostri piedi
con la promessa silenziosa
di un battesimo inverso,
ora! Sveli il tuo volto che riaffora,
belva così antica e nuova!
Ora, che il gorgo ci ha in sé
e ci troviamo sui primi scogli,
rocce erose di un infinito piano,
Tu sorgi per colpire, per mostrare il tuo volto!

Come colui che approccia la foresta
quando la notte è tenebra esangue
e gli occhi della tigre, indiano tremore,
guardano il viandante che troppo attinge.
Come il fanciullo, cresciuto nella valle,
che da Te sfugge, cerca riparo,
la grotta lo attende, breve sollievo,
ma lì il tuo dito fa tremare i monti.

Quanti uomini di spirito, quanti poeti,
quanti filosofi hai ossessionato?
L’anima nuda da te scappa,
si piega alla terra, tocca il suolo,
nasciamo immersi e sepolti,
filo d’erba travolto dall’oceano,
nebulosa bruciata dalle stelle!

E quanto tremendi sono gli occhi
di colui che ci scruta e trova,
quando in cammino per la Via
il suo sguardo ci trapassa.
Paura, angoscia, siamo ancora?
Cos’è l’essere quando è visto?
Cosa siamo quando ci guardi?

Ci travolgi e riduci al pianto
piegati in nervosi spasmi,
Tu gigante dei deserti!
Brucia sulla pelle il tuo calore,
arida la lingua che chiama il tuo nome!

Perché mi osservi e mi torturi ai tuoi piedi?
Perché la tua mano accarezza con forza?
Potessi sbranarmi tra le tue fauci
potrei odiarti addolorato!
Invece il tuo Sole uccide e riscalda,
il tuo cerchio scava la sabbia,
traccia un confine che protegge e rinchiude.
Stringi la chiave che d’oro riluce.

Piaghe si fanno sulle nostre nuche
quando a te rivolgiamo il volto!
Oh Tremendo! Oh Severo!
Tu ci isoli e ci separi
e in noi risuona il tuo ruggito,
colui che smuove nel silenzio.

Uomo, prezioso anello,
a Lui ti rimetti quando ti fai progenie.
Ora il deserto si è fatto neve
e i fiumi ci accolgono col loro ghiaccio,
ora ci sembra che l’Abisso ci tenga
e il vortice ci trascini come immobili prede.
Ma il Tempo è di tante sorgenti
e nel profondo del mare ribolle il fuoco.

Perché Uomo, contempli il presente?
Perché ti rivolgi al passato e futuro?
Non vedi che ogni cosa è in te?
Non senti che tutto scorre?
Quante verità dobbiamo ancora riscoprire
prima che sarai soddisfatto?
Eppure lo senti e lo vedi quel tempo
che ancora ha da venire,
inumidisce la lingua,
e nel suo venire è trascorso,
perché ogni cosa attesa
è un ricordare il suo passare.

Nostalgia del futuro
ti tocca nel cielo stellato
quando la luna è sul mare oscuro.
Rinato.

Autore

  • Alessandro Mazzi nasce a Pompei nel 1990. Si laurea in Estetica con il prof. Giampiero Moretti all’Università “L’Orientale” di Napoli, con una tesi originale su Hölderlin e il Taoismo. Approfondisce la psicanalisi junghiana e le filosofie orientali. Continua gli studi di filosofia e scienze all’Università di Urbino. Collabora con diverse testate online.