La mente dei solitari di natura

Sì, l’uomo è zoon politikòn, animale sociale. Ma l’autistico, asociale per definizione, anzi per diagnosi, non lo è. In realtà anche gli autistici hanno bisogno della compagnia degli uomini: è una sfida di tutta la comunità garantirgliela.

«Nessun uomo è un’isola, completa in se stessa» scrisse Donne. Ma l’autismo è proprio questo, un’isola totalmente separata dalla terraferma. […] C’è posto nel mondo per un uomo che è come un’isola, che non può essere acculturato, reso parte della terraferma?[1]

Anni fa comprai un libro illuminante che per primo mi ha incuriosita sullʼautismo. George e Sam[2], di Charlotte Moore, racconta di una giornalista e dei suoi tre figli, due dei quali autistici. Recentemente, le diagnosi di autismo sono aumentate esponenzialmente Il blocco più compatto della comunità scientifica sembra convinto che si tratti di unʼimpennata delle diagnosi e non dei casi effettivi, dovuta a una più ampia conoscenza della malattia: una volta, si diceva che gli autistici soffrissero di schizofrenia infantile o, per quelli bravi in matematica o a disegnare, si parlava di “stramberia”.

One man island

One man island

Lʼautismo non è facile da diagnosticare perché due autistici non si comportano in modo simile. Nello spettro autistico si ha una triade di anomalie: deficit nellʼinterazione sociale, deficit nella comunicazione e interessi e comportamenti limitati e ripetitivi. Ci sono gli autistici come George. In età infantile era passato per bambino prodigio per via della sua ecolalia[3]: imparava a memoria intere frasi dai libri che gli venivano letti. Sapeva usarle al momento giusto ma non personalizzarle per adattarle a frasi autenticamente sue. Tutto ciò che faceva era ripetere a pappagallo.

Una volta i suoi due cugini scorrazzavano per la cucina, infilandosi ovunque. George, guardandoli dal seggiolone, appariva perplesso. «Questi Cosi non ti morderanno», disse. «Vogliono divertirsi». Si tratta di un verso da Il gatto e il cappello matto, e in effetti i gemelli assomigliavano molto ai ribelli Coso Uno e Coso Due del Dr. Seuss.

Ci sono autistici come Temple Grandin, definiti ad alto funzionamento (la sua è sindrome di Asperger), perché riescono trarre profitto dalle loro peculiarità svolgendo lavori normali. La Grandin è riuscita ad avere consapevolezza delle differenze tra la sua mente e quella di un neuro-tipico, presentando al mondo scientifico il punto di vista di un autistico. È ora docente universitaria[4] e dalla sua vita è stato tratto un film[5].

Le dobbiamo molte nozioni circa le differenze tra mente autistica e neuro-tipica. Un autistico ha difficoltà fisiche e sociali. Hanno ipersensibilità sensoriale: sono disturbati profondamente dal neon, dal ronzio di una mosca o dal contatto della pelle con i vestiti.

Noi ci rendiamo conto della sensazione del cotone sulla pelle, per esempio, solo mentre ci infiliamo una maglietta, quando la stiamo togliendo o quando la sfreghiamo sulla pelle. Altrimenti, tendiamo a “dimenticarcene”. Il nostro sistema nervoso si adatta piuttosto velocemente e, pur ricevendo miriadi di stimoli diversi al secondo, ha sviluppato dei meccanismi per notificarci quello che succede solo in casi di eccezionalità. Non sentiamo il tic-tac dellʼorologio se non ci concentriamo, né lo schienale della sedia se non nel momento in cui ci appoggiamo.

Un autistico ha dei tempi di adattamento più lenti. Questo spiega in parte perché abbiano lʼinclinazione allʼossessione e alla compulsione. La Grandin dice che ci volevano settimane perché si abituasse ai pantaloncini dʼestate; che da bambina sentiva un dolore inconcepibile quando le sfregavano le dita sul cuoio capelluto durante la doccia; che tuttora non indossa reggiseni che non siano stati ammorbiditi da almeno dieci lavaggi. Il test di Sally-Anne, tentato la prima volta nel 1985, mostra altre differenze.

Ai bambini autistici, normali e Down fu mostrata una scena interpretata da bambole. Sally ha un cesto, Anne ha una scatola; Sally ha una biglia, la mette nel suo cesto e se ne va. Mentre Sally è via, Anne prende la biglia di Sally e la mette nella sua scatola. Sally ritorna. Allora si chiede ai bambini: «Dov’è che Sally cercherà la biglia?».
[…] Sally guarderà nel suo cesto, perché crede che la biglia si trovi là. I bambini non autistici e la maggior parte dei Down diedero la risposta giusta. Con poche eccezioni, tutti i bambini autistici diedero la risposta sbagliata: dissero che Sally avrebbe cercato nella scatola, perché la biglia era là. Non riuscivano a capire che questo Sally non lo sapeva
[6].

Questo test aiuta a spiegare la teoria della mente dei celebri psicologi Baron-Cohen, Leslie e Frith, secondo cui gli autistici non hanno idea di ciò che avviene nelle menti altrui, né comprendono che ciò che hanno in mente non è accessibile per gli altri.

Jake è il figlio più piccolo della Moore, non autistico. Un giorno, allʼetà di due anni, fece qualcosa di molto semplice che la colpì enormemente, perché i suoi figli autistici non lʼavrebbero fatto. Mentre era in giardino, gli cadde il biscotto che stava mangiando e andò da lei piangendo a chiederne un altro. Indicò un angolo del giardino, la tirò perché vedesse personalmente. Entrambi i più grandi avrebbero pianto per ottenerne un altro, magari lo avrebbero anche chiesto, ma mai avrebbero pensato di spiegare cosa fosse successo al primo biscotto. Se loro sapevano, come faceva la mamma a non sapere?

Dai racconti della Grandin, risulta evidente che esiste un problema di integrazione degli input. Lei non generalizza, non mischia informazioni di ambiti diversi sfumandole. Trova difficile seguire contemporaneamente lʼaudio e il video di un filmato.

Nevertheless, a thin thread to the world di Anna Laviosa 2016

Nevertheless, a thin thread to the world | Foto di Anna Laviosa, 2016

Per spiegarci come ragiona ci propone[7] di pensare a una chiesa. Noi abbiamo in testa unʼidea di chiesa come lʼintenderebbe Platone: generale al massimo, concettuale. Lei, invece, pensa necessariamente a una chiesa specifica, poi a unʼaltra, poi a unʼaltra ancora. Unʼimmagine per volta, come nella ricerca per immagini di Google. Ha piena consapevolezza della sequenza di eventi che avvengono nella sua mente durante un processo mentale e ogni pensiero è distinto dal successivo. Così se si arrabbia perché qualcosa non va come vorrebbe, riesce comunque a distinguere ciò che è vero da ciò che è falso e non riesce a confondere le cose, nemmeno per ricavarne un vantaggio, ingigantendo o minimizzando i fatti.

La persona autistica risulta affascinante agli occhi di chi non lo è per la sua naturale innocenza. Non è in grado di riconoscere sentimenti complessi non esplicitati. Sono come degli alieni che per comprendere cose per noi naturali devono studiarci a fondo. «Antropologa su Marte»[8], così si definisce la Grandin. Il problema è che sono pochi i bambini, anche tra i più funzionali, ad essersi integrati come lei.

Quello che la Grandin raccomanda è di seguirli dallʼinizio in modo intensivo e individualmente. Noi neuro-tipici siamo soliti cercare la compagnia di altri umani, tentare di piacere o impressionare. Un autistico non sente questo bisogno: è una cosa che solo un autistico ad alto funzionamento può imparare.

Se lasciati a sé, però, i bambini autistici si intratterranno in attività autostimolatorie di vario genere: dondolamenti, mormorii, movimenti stereotipati di braccia. Attività inutili e per di più rischiose: tanta più soddisfazione troveranno in queste attività, tanto meno cercheranno di rimanere collegati al nostro mondo, incomprensibile e inospitale. Il consiglio è quindi quello di non permettere allʼautistico di isolarsi.

La Grandin ha progettato diverse macchine per lʼallevamento di bestiame. Ha percepito cose che gli animali vivevano ma che noi non consideriamo. È stata diversamente abilissima. Possono farlo anche altri?

Cʼè posto nel mondo per un uomo che è come unʼisola? La risposta di Sacks[9] è che purtroppo lʼautistico abile non potrà fare nulla se non ci sarà una persona intelligente, che disponga di tempo e mezzi e sia pronta a instradarlo in una vera attività. Insomma, lʼautistico ha bisogno anche lui della compagnia degli uomini; purtroppo, però, gli manca la capacità di ottenerla da sé.

Note

[1] O. Sacks, L’uomo che scambiò la moglie per un cappello, tr. it. di C. Morena, Adelphi, Milano 1986.

[2] C. Moore, George e Sam, Corbaccio, Milano 2004.

[3] Disturbo del linguaggio che consiste nel ripetere involontariamente parole o frasi pronunciate da altre persone immediatamente o a distanza di tempo (ecolalia differita). La sua incidenza nei casi di autismo si attesta intorno al 75%.

[4] Professoressa associata, Colorado State University.

[5] Temple Grandin di Mick Jackson (2010).

[6] C. Moore, George e Sam, cit., p. 82.

[7] TED Talk, 2010.

[8] O. Sacks, Un antropologo su Marte, tr. it. di I. Bloom, Adelphi, Milano 1995.

[9] O. Sacks, L’uomo che scambiò la moglie per un cappello, cit.

di Yasanthi Ilayperuma

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