Il tempo dello sguardo che accompagna

Proviene dalla première vague del Neorealismo italiano l’idea della “poetica del pedinamento”, teorizzata da Zavattini.

Il tempo è maturo per buttare via i copioni e pedinare gli uomini con la macchina da presa[1].
(Cesare Zavattini)

Immaginiamo possibile che tra contemplazione dell’esistenza quotidiana e contemplazione di un’opera d’arte non s’apra alcuno scarto. Immaginiamo, cioè, che realtà percepita e opera d’arte siano una cosa sola. Immaginiamo la cinepresa in mano a un regista che intenda restituire la presenza stessa del reale, immediatamente, senza dover costruire la narrazione prima nella testa o elaborare una tesi preconfezionata a cui, poi, far aderire personaggi e avvenimenti. Immaginiamo, insomma, che sia possibile cogliere gli eventi e gli uomini nel mondo, così come si offrono, nella loro semplicità, quasi che la cinecamera fosse un canestro di vimini in cui far cadere grappoli di immagini e che questo canestro si riveli, poi, intenso come una tela di Caravaggio.

Tale film sarebbe probabilmente molto vicino al cinema per come lo intendeva Dziga Vertov, il quale con la sua teoria del «cine-occhio» pensava alla cinepresa e al cinema quasi come a strumenti bionici; potenziamenti dello sguardo umano. Compito del regista, secondo Vertov, è raccogliere e selezionare (con il montaggio) le immagini di una realtà viva e palpitante, a cui non serve aggiungere poi molto.

Immaginiamo, però, che il nostro regista non s’accontenti della registrazione neutrale del mondo e della sua riproduzione veristica ma, attraverso il suo film, voglia anche fornire spunti riflessivi di carattere etico. Persino cambiare le coscienze e le idee. Messe in questi termini, le cose appaiono più complicate. Tenere il timone puntato verso la stella polare del cinema-verità potrebbe non bastare. Far passare un messaggio etico attraverso la mera contemplazione del reale potrebbe essere un compito titanico; anche perché un messaggio etico prevede una concezione del mondo, delle tesi, dei giudizi di valore. Prevede, insomma, una serie di mediazioni e di filtri mentali che cozzano con l’immediatezza naturale qui proposta.

Una via d’uscita però la troviamo nel tempo. Un conto infatti è raccogliere immagini veritiere, rubare degli istanti al reale; un altro invece è dedicare del tempo ai personaggi incontrati e seguirli (come ci suggerisce l’esagramma dell’I Ching) nel loro percorso di vita, accompagnarli per un tratto, costruendo con la cinepresa una sorta di rapporto d’amicizia e complicità, che costituisca l’essenza e il senso della trasposizione filmica. Lo sguardo documentario impegnato a seguire lo spazio del reale potrebbe così elevarsi a potenza. Perché è proprio nel seguire dentro il tempo la realtà, nello stabilire una certa durata del rapporto con gli altri, nel tallonare passo passo e istante per istante la vita, che si può comprendere, evitando il vizio dei pregiudizi, l’essenza di una realtà. Perché la realtà è in ciò che è altro da un soggetto che guarda.

Anche il finale dovrebbe essere rispettoso, aperto. Per evitare di ridurre personaggi ed eventi a meri segni funzionali di un discorso utilitarista (“filmare gli altri come un fine e non come un mezzo”, parafrasando Kant). Se si riuscisse a far questo, che il film sia poi un vero documentario o, magari, una fiction, poco cambierebbe, perché la verità dell’opera, così prodotta, la si ritrova nel rapporto instaurato coi personaggi.

François Truffaut gira la scena finale del film I 400 colpi (1959)

François Truffaut gira la scena finale del film “I 400 colpi” (1959)

È Cesare Zavattini, sceneggiatore di capolavori fondamentali del Neorealismo, realizzati in connubio con De Sica (I bambini ci guardano, Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D.) che dovremmo sempre ringraziare (e ricordare) per avere dato corpo a tale utopia artistica e per averla poi anche chiarita in una teoria che egli definiva «poetica del pedinamento». Una teoria e una poetica cui il Neorealismo deve molto, nel bene e, come vedremo, anche nel male.

Certamente il Neorealismo non aspettò Zavattini per svilupparsi e, anche se egli ne fu un interprete tra i più maturi e interessanti, non si può ridurre tutto il Neorealismo italiano alla poetica del pedinamento. Se infatti la poetica del pedinamento è facilmente ravvisabile nei film di Zavattini-De Sica, è più difficile individuare tale poetica in film come Roma città aperta di Rossellini o La terra trema di Visconti.

Dopotutto, i caratteri del Neorealismo furono determinati sia da contingenze pragmatiche che etiche. Le necessità produttive valsero tanto quanto qualsiasi spinta (comunque decisa) verso il verismo e il realismo artistico. Il Neorealismo si caratterizzò come cinema en plein air? Gli studi di Cinecittà erano impraticabili. Scelse l’uso di attori non professionisti? Le star si erano compromesse con il fascismo. Predilesse il dialetto e la presa diretta invece che il doppiaggio affettato dei “telefoni bianchi”? Difficile fare diversamente, dovendo utilizzare attori non professionisti.

A testimoniare la volontà di portare avanti un cinema etico, del Neorealismo restano la scelta di dar voce ai problemi quotidiani del popolo e il privilegio dato all’infanzia e al suo sguardo aperto al futuro; due elementi del Neorealismo piuttosto compatibili con la poetica di Zavattini.

Non bisogna dimenticare che le azioni etiche spesso suscitano reazioni contrastanti. La poetica del pedinamento, ad esempio, scatenò l’ostilità del sistema produttivo-politico italiano, il quale, nonostante il successo estero di alcuni film, mai amò quella stagione filmica[2]. Così Umberto D., film piuttosto duro, fu occasione per far chiudere i battenti a tutti quei film il cui sguardo su umiliati e offesi denunciava le carenze della politica.

Tuttavia, se il Neorealismo italiano rappresentò la première vague – la prima ondata di una lunga serie di nuove ondate che hanno poi innovato linguisticamente il cinema – e se la sua rivoluzione produttiva ed estetica è germogliata in altre cinematografie[3], forse lo si deve proprio al fascino dell’utopia del pedinamento, o perlomeno a quegli elementi del Neorealismo che l’incarnavano.

La poetica del pedinamento la si ritrova in molti autori di film che hanno fatto la storia del cinema. Nello sguardo partecipe del Pasolini di AccattoneMamma Roma, quando segue i diseredati della periferia nei loro drammi. Nello sguardo carezzevole di Truffaut, quando accompagna il giovane scapestrato de I quattrocento colpi sino alla spiaggia sulla quale è in grado di restituirlo a tutti gli spettatori. Nello sguardo orizzontale che ha Caligari in Amore tossico, quando sviscera lo squallore eroinomane dei giovani ostiensi. Nello sguardo indignato che Ken Loach usa in Ladybird Ladybird quando, a differenza dei servizi sociali inglesi, rifiuta d’accanirsi contro una donna solo perché promiscua. Nello sguardo e nei movimenti della macchina da presa dei fratelli Dardenne, quando tallonano il motorino del giovane protagonista de La promesse, il quale cerca d’aiutare una vedova immigrata. Si ritrova forse anche nello sguardo da soggettiva “spara-tutto” del Gus Van Sant di Elephant, quando pedina ossessivamente i protagonisti del massacro della Columbine School.

Ci sono autori il cui sguardo filmico sui protagonisti delle loro storie è uno sguardo che segue senza giudicare, come fa un amico, come fa un complice. Chissà se costoro sanno che la parola “seguire” ha la stessa radice avestica di “compagno”.

Note

[1] Cesare Zavattini, Opere, a cura di M. Argentieri, Bompiani, Milano 1979.

[2] Un giovane sottosegretario alla cultura, G. Andreotti, fece pervenire a mezzo stampa il suo sdegno per Umberto D. (“disfattista”, era l’accusa). Calò così la pietra tombale sul Neorealismo.

[3] A partire dal Free Cinema inglese, passando per la Nouvelle vague francese, nel corso del XX secolo innumerevoli cinematografie nazionali del primo, del secondo e soprattutto del terzo mondo si sono ispirate al Neorealismo.

di Amedeo Liberti

Autore

  • È redattore de La Tigre di Carta. Dopo gli studi di Filosofia e in Analisi e Gestione dell'Ambiente e del Paesaggio, si dedica alla sua terza grande passione assieme a Pensiero Teoretico ed Ecologia, fare il videomaker. Un suo corto "La Banalità Del Mare" è stato accettato al XIII Siena Short Film Festival. Oggi lavora come proiezionista per la Fondazione Cineteca Italiana. In pratica è sempre al cinema.