Ora tocca ai pazienti

Perché riesce così difficile “seguire” le indicazioni del medico e si arriva a scegliere piuttosto alternative improbabili? Un tuffo nel passato per capire il presente – e forse il futuro – del rapporto tra medico e paziente.

Dr.Internet_BN foto di Anna Laviosa 2016

“Dr.Internet”, foto di Anna Laviosa 2016

Oh, no! Ecco che succede di nuovo. Avete un brutto mal di testa che non se ne vuole andare. Cosa potete fare?

a) Prendere quella pillola che vi aveva consigliato il medico l’ultima volta.

Ma no, dai! Vi siete informati per bene su quella rivista che spiegava che prendere le medicine fa male al fegato. Un momento, ripensandoci la rivista diceva “troppi farmaci”. Ma chi siete voi per sapere cosa è troppo e cosa non lo è? Il dubbio rimane. In
più, questa volta il mal di testa è diverso dal solito. Tocca tentare un’altra strada.

b) Consultare il medico per sentire la sua opinione e seguire le sue indicazioni.

No, vi sembra un’esagerazione. E chi ha tempo di andare dal medico? E poi sapete già che il medico vi darà la stessa pillola, senza nemmeno prendere in considerazione che voi vi sentite diversi, stavolta. La paura monta e la soluzione sembra solo una.

c) Consultare il “dottor Google” ed esporgli i vostri sintomi.

Dunque, siete alla resa dei conti. Vi sedete, con un filo d’ansia e con cupa rassegnazione davanti alla tastiera e digitate le parole chiave. Man mano che leggete i risultati, vi sembra di sentir affiorare anche altri sintomi: forse nemmeno voi riuscite a piegare il collo, come il paziente di quel sito lì! Vi portate una mano alla fronte, per scrupolo: eh sì, sembra proprio che stia salendo la febbre. Che dramma! Avete un’infausta diagnosi, ora vi tocca solo aspettare l’aggravamento e poi, inevitabilmente… la morte! Il solo passo che vi rimane è quello di convincere l’unico che può prescrivervi la terapia, il medico, che avete contratto la meningite.

La situazione vi è familiare?

Circa l’1% di tutte le ricerche effettuate su Google, quindi ogni giorno milioni di query, riporta Webnews[1], sono relative a sintomi e malesseri. Questo però lascia spesso l’utente con le idee più nebulose di prima, come è successo agli ipotetici “voi”, che avete ingigantito il vostro banale – anche se molto fastidioso, ne convengo – mal di testa, trasformandolo in qualcosa di molto più importante.

L’azienda dietro al più famoso dei motori di ricerca conosce bene la questione e ha deciso di agire filtrando in qualche modo le ricerche di sintomi. In breve, esiste (per ora soltanto negli USA) una nuova funzione che permette di ottenere il parere del dottor Google sottoponendo i sintomi nella casella di ricerca. Il filtro ha il compito di ridurre l’allarmismo, in quanto i risultati mostrati sono approvati da un team di esperti dell’Harvard Medical School e della Mayo Clinic. Viene così suggerita una serie di diagnosi possibili con opportune spiegazioni e con l’onnipresente raccomandazione di consultare anche un medico in carne e ossa. Insomma, un grande passo avanti per chi non resiste alla tentazione di appellarsi alle cure dei nosocomi virtuali.

Il problema di fondo, però, rimane: alla fine, il medico va consultato necessariamente, in quanto è l’unico che sia autorizzato a prescrivere una terapia – a meno che vacilli pure la fiducia in quella. La domanda che la classe medica ha l’obbligo di porsi è come mai il paziente non scelga da subito l’opzione che parrebbe più ovvia, ovvero consultare per prima cosa il curante.

Per tentare di rispondere, bisogna fare un passo indietro e guardare al nucleo del problema: il rapporto tra medico e paziente. Dalla medicina ippocratica in poi, queste due figure si sono sempre relazionate ponendosi su due livelli differenti. Da una parte, il medico, forte delle sue conoscenze, aveva il potere assoluto sulla salute del paziente. Poteva decidere come e quando agire senza nemmeno dover consultare il malato; in antichità era considerato un mediatore tra dèi e uomini e questo lo rendeva un individuo privilegiato, dotato di impunità giuridica. Il suo dovere era quello di ottenere il bene del paziente, il quale non poteva che seguire le direttive. C’era dunque un rapporto di tipo paternalistico, che talvolta generava nell’ammalato una forte insofferenza.

Senza dubbio, uno degli aspetti che maggiormente è mutato nel tempo è stata l’introduzione graduale del concetto di “autonomia”, reso infine essenziale dai vari Locke e Kant molto tempo dopo: non era più possibile tollerare la sudditanza del paziente nei confronti del curante. I medici sono stati gradualmente privati dell’ascendente di cui disponevano sulla vita del paziente, dovendo accettare concetti fino ad allora estranei alla medicina: al paziente era riconosciuta ora una consapevolezza di sé e della propria condizione, il che giustificava una sua autonomia decisionale. Il medico è da allora responsabilizzato, privato della sua impunità. Ha assunto l’obbligo di rispondere delle proprie azioni e quello di informare il paziente delle sue condizioni e sul da farsi, nonché sui rischi che corre.

Di fatto, quindi, il medico ha smesso di impersonare un ruolo paternalistico nella vita del paziente, il quale, di conseguenza, è libero di autogestirsi. Perché possa farsi carico delle responsabilità che il medico gli cede, il paziente deve essere informato ed essere in grado di comprendere fino in fondo quello che gli viene spiegato.

La responsabilità dell’ancora ostile rapporto tra terapeuta e malato che esiste al giorno d’oggi è assolutamente condivisa.

Da una parte ci sono i medici, che non vogliono accettare il ridimensionamento del loro ruolo; questo non necessariamente per manie di protagonismo, ma anche perché, per quanto questo cambio di paradigma non sia stato teorizzato recentemente, ma anzi sia stato un processo assolutamente graduale, l’evoluzione della pratica non è andata di pari passo. Basti pensare alla figura del medico nell’immaginario collettivo, come ci viene presentata dai camici televisivi. Personaggio iconico è il dottor House (della serie televisiva House MD), il quale fa esattamente l’opposto: tratta il paziente come un infante privo di qualsiasi comprensione delle tematiche mediche; quindi è in qualche modo autorizzato moralmente a fare sempre di testa sua, che il paziente lo voglia o meno, che il paziente lo sappia o meno. In realtà, come lo percepiremmo se si comportasse in maniera eticamente più accettabile? Probabilmente lo considereremmo debole e non altrettanto geniale, perché in realtà siamo stati abituati fin da piccoli a vedere il medico come una sorta di missionario con una vocazione, non come un professionista. Perché questo non continui a verificarsi, i futuri medici seguono ora dei corsi appositi in cui possono imparare a comunicare con il paziente e a continuare a vederlo come una persona prima che una malattia, così all’inizio come alla fine del percorso universitario.

Dall’altra parte, però, ci sono i pazienti, che devono imparare a gestire al meglio i nuovi diritti che hanno conquistato (non senza fatica). Se le responsabilità del medico sono state ridimensionate, è stato per traslocarle a carico del paziente. È suo diritto rinunciare a seguire uno stile di vita o un piano terapeutico indicato dal medico e optare per percorsi alternativi (a meno che le sue decisioni ledano l’intera comunità, come nel caso degli antivaccinisti), ma in ogni caso deve avere gli strumenti per distinguere ciò che è scientifico da ciò che non lo è. Sono tanti i ciarlatani che tentano di insinuarsi nel mondo della medicina e lo fanno soprattutto tramite internet, andando a nutrire le paure dei pazienti ma facendoli al tempo stesso sentire ascoltati. Sta al medico cercare di arginare queste derive, ascoltando il paziente e comunicando con lui efficacemente; il paziente deve essere, però, ricettivo e aperto.

Nella medicina, così come nella scienza in genere, i contenuti sono mutevoli; il punto fermo è il metodo. Questa non è una sua debolezza, ma è proprio la sua forza. Contrariamente a quello che alcune parti buie ma stabili di internet vogliono far credere, la ricerca medica ha interesse proprio nel benessere della collettività. Chissà che la nuova funzione di Google riesca a impedire ai pazienti smarriti di trovar riparo là dove i ciarlatani soffiano sul lume del buon senso.

Note

[1] C. Ghidotti, Dottor Google, ricerca per sintomi e malattie, 21 giugno 2016.

di Yasanthi Ilayperuma

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