Meglio Sole che male accompagnati?

di Amedeo Bellodi

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Buona parte delle stelle di una galassia ha una compagna: se in un primo momento la vita di coppia può essere “affettuosa”, a lungo andare può condurre a esiti apocalittici per una delle due stelle.


Sappiamo tutti che la stella più vicina alla Terra è il Sole: una sfera di gas (idrogeno e elio), di massa pari a più di trecentomila volte il nostro pianeta e di raggio circa 110 volte quello terrestre, al punto che un aereo che impiega un giorno per percorrere il nostro equatore, per “circumvolare” il Sole avrebbe bisogno di otto mesi. Per i passeggeri sarebbe sicuramente una vacanza al caldo se consideriamo che trascorrerebbero otto mesi a 6000 gradi, tant’è la temperatura alla sua superficie. La relativa vicinanza del Sole lo rende un’occasione speciale per conoscere “da vicino” (ci separano solo 150 milioni di chilometri) i fenomeni legati alla fisica e all’evoluzione stellare, ambiti in cui si è soliti considerarlo come un modello cui riferirsi. Nonostante questo, la nostra stella ha una caratteristica che la contraddistingue rispetto a buona parte delle sue simili nella Galassia: il Sole è… solo.

Si stima che almeno metà delle stelle appartenenti ad una Galassia, nel loro peregrinare abbiano avuto occasione di incontrare almeno un’altra cui rimanere “legate” tramite reciproca attrazione gravitazionale, raggruppandosi in sistemi binari o, più in generale, multipli. Una postilla: stelle che vediamo vicine nel cielo non sono necessariamente stelle legate. Può capitare infatti che due stelle ci appaiano vicine sul piano del cielo ma solo in virtù di un effetto prospettico: in Campo dei Miracoli i turisti non sorreggono la Torre di Pisa, o quanto meno lo fanno solo se visti dalla giusta angolazione. La maggior parte delle volte le stelle binarie a occhio nudo appaiono piuttosto come un unico puntino luminoso, con rare eccezioni, come Mizar, una binaria che con un buon cielo si riconosce sulla coda dell’Orsa Maggiore. Certo, l’amore è eterno finché dura: non è detto che le coppie che si vengono a formare durino per sempre; infatti sono stati riscontrati casi in cui una terza stella ha scalzato il posto (e la compagna) a un’altra, che viene lanciata lontano a grande velocità – il vero gossip delle…star. Se però i sistemi rimangono legati abbastanza a lungo, si può assistere a spettacoli della natura, la cui descrizione richiede la collaborazione di molteplici branche della fisica, come del resto è l’intera fisica stellare: una palestra in cui i fisici allenano fluidodinamica, gravità, struttura della materia, fisica nucleare e tanto altro.

Proprio come nelle coppie più longeve e durature, alcune binarie riescono a vedersi invecchiare. Una stella nel corso della sua evoluzione cambia in temperatura, colore, raggio… Il Sole, ad esempio, nei prossimi sei miliardi di anni dovrebbe espandersi fino ad avere un raggio pari alla distanza che lo separa dalla Terra, duecento volte il suo raggio attuale; non a caso, questo stadio le varrà il nome di gigante rossa. Cambiamenti di questo tipo sono riflesso dei processi che hanno luogo all’interno di queste sfere infuocate: nel nucleo delle stelle si brucia “carburante” e l’energia che si produce fa sì che l’involucro esterno della stella si espanda, raffreddandosi; quando l’energia di combustione inizia a diminuire, l’espansione rallenta e il gas che compone la stella risente maggiormente dell’attrazione gravitazionale, collassando. Se, in questa fase di compressione, il gas si scalda a sufficienza per accendere la combustione di un nuovo elemento (più nello specifico, per innescare una nuova reazione termonucleare), la vita delle stelle continua: dopo l’idrogeno, si brucia l’elio e poi elementi via via più pesanti come ossigeno, neon, silicio e zolfo. Quando la stella non è troppo massiccia (come ad esempio il Sole), al termine della combustione dell’elio l’involucro più esterno si disperde e il nucleo collassa fino a ridursi a delle dimensioni confrontabili con quelle di un pianeta grande quanto la Terra. In questa nuova fase le stelle prendono il nome di nane bianche: una massa confrontabile a quella del Sole, rinchiusa in una sfera molto più piccola. La densità delle nane bianche è per questo molto più alta rispetto a una stella come il Sole: in questo regime, gli elettroni che compongono il gas faticano a trovare “posti disponibili”, al punto da darsi molte più “spallate” rispetto a quelle che si darebbero in un gas classico. L’esito macroscopico di queste “spallate” è una pressione (chiamata pressione di degenerazione) in grado di sostenere la stella ed impedirne un ulteriore collasso.

Torniamo alla nostra storia d’amore stellare: ammettendo che la nana bianca sia legata ad una stella compagna, quando questa si espande, può succedere che arrivi a riempire il suo lobo di Roche, la zona – in prima approssimazione sferica – entro cui prevale la sua gravità rispetto a quella della nana bianca. Il gas che si trova nel punto di contatto dei lobi di Roche delle due stelle, per ulteriori piccole espansioni è portato ad essere attratto dalla stella compagna, traboccando nel suo lobo: «Propizio è imprendere qualche cosa, propizio è attraversare la grande acqua» dice l’I King. Per motivi tuttora dibattuti nella comunità astrofisica, il materiale riesce a spiraleggiare verso il centro, formando un disco che prende il nome di disco d’accrescimento (come in Figura 1): la materia accresce la nana bianca, aumentandone la massa.

Una immagine artistica ispirata ad un sistema in cui una stella supergigante cede materia ad un oggetto compatto, tramite un disco di accrescimento. Immagine adattata da European Homepage for the NASA/ESA Hubble Space Telescope.

La Natura rispetta la profezia dell’esagramma di sviluppo (il numero 63, “Dopo il compimento”), quando dice che «Propizia è perseveranza. In principio salute, alla fine scompiglio»: la materia che arriva al centro del disco, accresce sì la nana bianca, ma conducendola ad un ineluttabile distruttivo destino. Superata una certa massa (la massa di Chandrasekhar, dal nome del superlativo fisico indiano che studiò questo limite per primo, pari circa a 1.44 masse solari), la pressione dovuta agli elettroni non è più in grado di sostenere la gravità della stella, che ritorna a collassare fino a innescare una violenta esplosione che distrugge la nana bianca. Esplosioni così forti appaiono nel cielo come fossero nuove stelle molto luminose, facendo sì che gli antichi che le osservavano le segnalarono col nome di Supernovae. Nello specifico, i casi di esplosioni in sistemi binari con nana bianca in accrescimento sono oggi raccolti sotto il nome di Supernovae di tipo Ia. Nel 1572, Tycho Brahe assistette inconsapevolmente proprio a una di queste esplosioni, nella costellazione di Cassiopea e pubblicò il suo lavoro “De nova et nullius aevi memoria prius visa stella” (vedi in Figura 2); anche l’imperatore cinese Wanli della dinastia Ming rimase colpito dalla “nuova stella”, che veniva interpretata come cattivo presagio per l’impero.

Studiare Supernovae Ia è importante (oltre che interessante) poiché, dal momento che le esplosioni avvengono all’incirca alla stessa massa della nana bianca in accrescimento, la luminosità intrinseca della stella al picco dell’esplosione è pressoché costante. In questi termini si parla di Supernovae Ia come “candele standard” ossia fari luminosi dell’Universo che ci permettono di misurare in buona approssimazione le loro distanze dalla Terra, investigando anche l’Universo più lontano. Studiare Supernovae Ia è tuttavia complicato. L’astronomo Saul Perlmutter in un’intervista afferma: «Per compiere osservazioni con i telescopi migliori del mondo, bisogna far richiesta diversi mesi in anticipo per ottenere al più la disponibilità di una o due notti; è abbastanza spiacevole dover dire “Vorrei usare i telescopi Keck delle Hawaii la notte del prossimo 3 marzo perché un giorni nelle prossime centinaia di anni una supernova potrebbe esplodere”». Eppure, con Brian Schmidt e Adam Riess, proprio Perlmutter ha vinto il Premio Nobel per la Fisica del 2011, deducendo dallo studio delle Supernovae Ia che il nostro Universo è in espansione accelerata. Cosa significa? Per questo ci sarà un esagramma più adatto, in un prossimo numero.

Casssiopea B (nota anche come la Nova di Tycho, indicata con la lettera i in figura di sinistra) è riportata nel “De nova” di Tycho Brahe che la osservò nel 1572 e appare ai telescopi X moderni (Chandra X- ray Observatory) come nella figura di destra: una bolla in espansione, con temperature di diverse milioni di gradi circondata da un guscio di elettroni estremamente energetici. Adattata da NASA/CXC/Rutgers/J.Warren & J.Hughes et al.

Autore

  • Unisce orgoglio classicista (voleva dedicare la sua vita alla letteratura greca), curiosità scientifica (è poi finito a studiare astrofisica) e passione per la musica (il pianoforte su tutti).