Ascensione o ascendente?

Benito Garozzo

di Federico Filippo Fagotto

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Per arrivare all’argomento di questo articolo, dobbiamo munirci di fune e picozza da alpinista (chiediamo aiuto, magari, all’ultimo pezzo scritto da Filippo per la rubrica di biologia | https://www.latigredicarta.it/n05-biologia.html).

Il giocatore di cui vogliamo parlare, infatti, si trova in cima all’Olimpo dei campioni di bridge di tutti i tempi: stiamo parlando di Benito Garozzo!

Il sognante poeta Heinrich Heine diceva che gli indiani fanno bene ad adorare le mucche, così che per loro ogni stalla è un Olimpo! Allo stesso modo, aggiungiamo, fanno bene i bridgisti ad adorare Garozzo: ogni sala da bridge in cui, ancora oggi, lo si può ammirare, diventa subito un tempio.

Anche per me c’è stata un’atmosfera quasi sacra la prima volta in cui l’ho visto, all’edizione del torneo di Caracalla a Roma di qualche anno fa. Era già anzianotto e il mio compagno ha dovuto urlare tre volte: «Maestro!», per richiamare la sua attenzione, ma per il resto tutto era come sempre, soprattutto il suo sale in zucca, come ha dimostrato l’anno dopo al torneo di Rivergaro, indetto dal Bridge Club di Piacenza, in cui si è inventato l’attacco sotto Re di Picche (per i non addetti al mestiere, si sappia soltanto che è molto rischioso), con cui ha affossato un bel contratto chiamato niente popò di meno che: da mio papà!

Dunque, si può affermare che i bridgisti hanno in comune con i fascisti soltanto questo (per fortuna): per entrambi, di Benito ce n’è uno solo!… Speriamo non ce ne voglia il signor Benito Leonardi, bridgista e proprietario dell’unico negozio specializzato in letteratura e materiali di bridge a Milano (http://www.bridgeforever.com/).

Ma questo lo si era detto già nello scorso articolo, dove fra l’altro ci si era soffermati sul dolce ricordo del grande Omar Sharif e della sua recente scomparsa, e già si era accennato alla statura di Garozzo, con la promessa di chiudere con lui la descrizione della coppia considerata, ancora oggi, la più forte della storia di questo gioco: quella da lui formata assieme a Giorgio Belladonna, che era stato oggetto del primo articolo di questa rubrica.

Per la verità, quando il giovane Garozzo era entrato nel team italiano, il Blue Team di cui detto, aveva formato una coppia altrettanto forte con un altro straordinario giocatore italiano, di cui ci occuperemo in uno dei prossimi numeri (sperando che, pillola dopo pillola, a qualche profano salga la voglia di imparare il bridge e di portare avanti il gioco con cui l’Italia ha dominato, e domina tutt’ora, quasi incontrastata).

Dalla vittoria al Campionato del Mondo di Buenos Aires del 1961, Garozzo non riuscì a togliersi di dosso la zecca di quel numerino “1” di fianco allo score dei maggiori tornei, se non dopo 15 anni ininterrotti, per ricadere in seguito nel vizio del podio un’altra decina di volte, tanto da far ascendere ad sidera la coppia Garozzo-Belladonna al punto da occupare ancora oggi il vertice del ranking mondiale, quasi che questi moderni Castore e Polluce si fossero tramutati di nuovo in una costellazione. Guardare la sua pagina personale sul sito della WBF, muniti di pop corn in mano, per credere: http://worldbridge.org/people-finder.aspx.

Il primo storico compagno di Garozzo – di cui per ora celiamo l’identità, appunto – lo descrisse così: «A tutti coloro che predicano la semplicità non piacerà certamente lo stile di gioco di Benito Garozzo, il quale in quasi tutte le smazzate, anche in quelle dall’apparenza più banale, riesce sempre a creare qualcosa di particolare».

La smazzata cui si riferiva questo commento – che verrà descritta sul versante dell’articolo per bridgisti navigati, inesperti curiosissimi o lettori affetti da peculiari masochismi (http://bridgeditalia.it/) – è un ottimo esempio, allora, di Ascesi in relazione al tema a esso correlato in questo numero, cioè quello del Pozzo. Una grande dichiarazione e un ottimo contratto da cui, a causa del suo gioco machiavellico, Garozzo rischiò di precipitare, salvandosi con un colpo di genio finale!

Chiudiamo con le parole di qualcuno che si può citare senza segreti, stavolta: di nuovo il nostro buon vecchio Omar Sharif, il quale ci aiuta a capire che i grandi giocatori di bridge, spesso, oltre che talentuosi nell’ascensione, sono anche maestri dell’ascendente, cioè della pressione psicologica esercitata sugli avversari, capace di rubare anche contratti all’apparenza disperati:

«C’era Benito Garozzo, un vero genio del bridge, il più grande di tutti i tempi; Garozzo ha dei doni naturali incredibili: ha fantasia da vendere ed è un vero maestro in fatto di teoria. Egli conosce tutti i segreti della tecnica ma, a volte, preferisce affidarsi al suo istinto che raramente fallisce. Inoltre, è un ipnotizzatore senza pari: egli avrebbe potuto benissimo fare delle tournée nelle fiere! Garozzo ha un tale potere sugli avversari, per telepatia o per altri mezzi ancora sconosciuti alla scienza, da indurli a giocare quelle carte che gli possono essere utili».

Autore

  • Federico Filippo si risveglia dal sonno dogmatico nella bella facoltà di Filosofia in Statale e si riaddormenta con gli studi a Venezia. Tornato a Milano, dopo il gong della laurea in Scienze Filosofiche, inizia collaborazioni con la cattedra di Estetica e nel frattempo, in fuga dall’accademismo, ha la fortuna di radunare un gruppo di ragazzi pieni di stoffa e fondare la rivista di arte e cultura La Tigre di Carta, cui segue l’Associazione culturale La Taiga che gestisce il teatro e circolo culturale Corte dei Miracoli. Fra editoria ed eventi, gioca col violoncello il bridge e lo yoga. Tutto ciò non fa bene alla salute... meglio scrivere!