Il Pozzo e la Luna

di Amedeo Liberti

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Luna_Piena

 

Ascendere è una parola strana. Origina dalla parola latina ad-scandere, dove “ad” indica moto verso luogo e“scandere” il verbo salire. Ascendere significa pertanto “salire a” o “salire verso”.

Fin qui niente di strano. Sennonché il verbo latino scandere, a sua volta, può essere ricondotto alla radice “skand” che significa sia muoversi verso l’alto sia muoversi verso il basso [1]. Ascendere è dunque un termine che ha in nuce due opposti: l’alto e il basso, il salire e il calarsi. Chissà se I King, dato il contingente abbinamento tra l’esagramma de L’Ascendere e quello del Pozzo (simbolo ctonio), conosce la lingua latina?

Forse l’I King vuole ricordarci che ogni particella ha una antiparticella, ogni dominio un contro-dominio e ogni azione una reazione, oppure che tutto è reso relativo dal punto d’osservazione.

Ogniqualvolta ci spostiamo verso la vetta qualcos’altro si sposta verso il basso: nessuno si può inerpicare senza premere la terra o far cadere sassolini dietro di sé.

Considerate tutto ciò nelle sue inevitabili implicazioni simboliche, perché ora dirigerò il discorso sul piano emblematico dell’elevazione collettiva. Ascendere, infatti, può essere inteso simbolicamente come progresso, non solo individuale, ma di tutto un popolo e persino dell’umanità. La nostra ascensione è iniziata molto tempo fa, quando abbiamo iniziato a distinguerci dagli altri animali, prima specializzandoci nel linguaggio, poi acquisendo abilità col governo del fuoco, con le armi, con pastorizia e agricoltura e poi sempre più in su, fino a conquistare il cielo, la Luna e forse, un dì, le stelle. Bene. Però sorge d’impeto una domanda: cos’è rimasto indietro? Cos’è finito nel pozzo in questo salire?

Prima d’accennare una risposta ho da fare una confessione. Quando, per la prima volta, mi sono imbattuto nel moon hoax, cioè in quella teoria del complotto che ritiene una grossa ed elaborata truffa lo sbarco umano sulla Luna, ne sono rimasto affascinato.

Studiando le argomentazioni a favore dello sbarco e verificando al contempo i dubbi sollevati su ciascuna prova dell’allunaggio, ho scoperto che non esiste nessun modo per verificare alcunché. Le Foto? Riprodotte in studio. Le rocce lunari? Potrebbero essere artefatti e la prova del carbonio 14 non lo dimostrerebbe. Le foto delle apparecchiature abbandonate scattate dai satelliti? Sono sempre e solo immagini, oltretutto così pixelate da essere indecifrabili. Insomma, per ogni prova presentata v’era modo di sollevare un ragionevole dubbio, tant’è che mi sono visto costretto a sospendere il giudizio. L’argomento più onesto a favore dell’allunaggio è stato espresso recentemente da Umberto Eco, quando ha fatto notare che un simile segreto avrebbe coinvolto troppe persone per rimanere a lungo tale. È un po’ misera come prova e l’esistenza stessa d’una teoria del complotto la contraddice almeno in parte. Sapendo poi che una semplice ditta d’auto come la Volkswagen è riuscita a ingannare per un decennio quasi un miliardo di persone, regge ancora meno.

L’indimostrabilità definitiva d’un qualsiasi evento storico accade più frequentemente di quel che si pensi. Quanti accadimenti reali seguiranno la parabola del sacco di Troia trasformatosi in narrazione e poi in leggenda? Certo, in alcuni casi, come la Shoà, ci si può avvalere di svariate migliaia testimoni diretti (purtroppo sempre meno) per confermare le atrocità commesse in posti come Mauthausen. Ahimè, nel caso dell’allunaggio, invece, i testimoni sono solo un pugno di astronauti.

La verità o falsità dell’allunaggio diventa così un atto di fede, inevitabilmente inquinato da idiosincrasie, come ad esempio l’odio verso gli Stati Uniti d’America, ma anche da speranze. Se, infatti, venisse rivelata la falsità dell’allunaggio, le energie del pianeta smetterebbero di essere rivolte in alto, verso la grande fuga stellare, e si concentrerebbero sulla risoluzione dei problemi del mondo. Perché, a furia di ascendere verso le stelle, ciò che stiamo lasciando indietro, nel buio e sporco pozzo, è casa nostra: la Terra.

[1]    Cfr. www.etimo.it/

Autore

  • È redattore de La Tigre di Carta. Dopo gli studi di Filosofia e in Analisi e Gestione dell'Ambiente e del Paesaggio, si dedica alla sua terza grande passione assieme a Pensiero Teoretico ed Ecologia, fare il videomaker. Un suo corto "La Banalità Del Mare" è stato accettato al XIII Siena Short Film Festival. Oggi lavora come proiezionista per la Fondazione Cineteca Italiana. In pratica è sempre al cinema.