Intervista ad Agnese Gullotta

 

di Victor Attilio Campagna

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Com’è cominciata la tua entrata nel mondo della cucina?

Ho cominciato tutto per caso. Sono entrata a Masterchef e da lì ho capito cosa mi interessava e piaceva, ma non ne ho approfittato subito. Mi son detta: ci conto poco, rimango comunque solo una concorrente di un programma. Per cui, dopo la trasmissione ho continuato il mio percorso di studio, laureandomi nella magistrale di psicologia. Ho comunque mantenuto i contatti che mi ero fatta, ma è solo da un annetto che sono tornata sulla cresta dell’onda, da quando ho cominciato a lavorare per Milano da bere. Mi sono creata il mio spazio, guadagnandomi la fiducia di tanti professionisti. Ed ora ne sto vedendo i risultati.

Masterchef quindi è stato utile?

Certamente, sia per la mia vita che per la mia persona. Rivedendomi, infatti, ho capito soprattutto quello che non volevo essere, ossia quello che hanno fatto vedere in trasmissione. Infatti, molte delle litigate e arrabbiature non sono apparse, perché il mio personaggio era la ragazzina un po’ goffa e ingenuotta. Per loro non andava bene quando cominciavo a smadonnare, perché sbugiardava l’idea che avevano di me.

Hanno costruito il tuo personaggio insomma…

Sì, l’hanno proprio costruito. E mi sono resa conto che non volevo essere quel personaggio.

Molti ricordano la canzoncina del coniglietto…

Tanti mi chiedono quanto mi avessero preso in giro. Il problema è capire l’intenzione. Io non volevo essere ricordata come una semplice concorrente e quindi mi sono inventata qualcosa che potesse colpire sia i giudici, sia gli spettatori, per essere ricordata come Agnese di Masterchef e non come “quella” di Masterchef. Per cui mi sono inventata quella canzoncina, consapevole delle critiche che si sarebbero create. Solo che in quel momento sono stata io a prendermi gioco dei giudici. Era una mossa calcolata. Per me la soddisfazione più grande è stata l’aver pensato una cosa che mi ha portato ad acquisire una legittimità e personalità all’interno di quella realtà.

Nonostante l’evidente finzione di Masterchef, per te è stato motivo di accrescimento?

Certo. Ho appreso molte cose su di me nel giro di pochissimo tempo. Considera che dei miei amici, concluso il programma, mi hanno trovata cambiata in una maniera improvvisa e repentina: non ero più diplomatica come prima. Sono diventata più aggressiva. Insomma, anche loro hanno visto in me un cambiamento. Non posso assolutamente negare che sia stata un’esperienza di vita Masterchef. Una cosa così forte per me e per la mia esistenza non è mai accaduta.

In Masterchef si trasmette davvero la cultura del cibo secondo te?

Dopo averlo vissuto e visto le edizioni successive, avevo una visione distorta del programma: non mi focalizzavo sui piatti. Andavo a vedere i retroscena, facendo delle congetture su chi avrebbero fatto uscire, chi no. Questa edizione, la quarta, mi ha illuminato: mi sono distaccata, ho cambiato le lenti, per citare Wittgenstein, e ho cominciato ad apprezzare il cibo da loro proposto. La materia prima, la cultura del cibo, le varie preparazioni sono importanti. E il messaggio che mandano è chiaro: non è negativo, né foriero di una scarsa cultura del cibo, anzi, tutt’altro. Solo che c’è quella parte televisiva che non può mancare, essendo comunque un programma televisivo.

Si sapeva sin da subito chi sarebbe uscito da Masterchef?

È complicato. Non si sa come né perché, ma tutti quelli che uscivano durante le puntate, uscivano per ingredienti da loro mai cucinati o, addirittura, odiati. Poi, riflettendoci su, mi sono ricordata che durante il mio primo provino mi chiesero quale fosse il cibo che odio di più, ovvero gli hamburger. Guarda caso, quando c’è stata la prova sugli hamburger sono uscita. Questo è un piccolo aggancio per farti capire quante piccole informazioni sfruttano ai fini della trasmissione. Il primissimo provino era proprio funzionale a questo, alla mia eventuale eliminazione. Quindi sì, è molto calcolato Masterchef. Ma sai, ci sono talmente tanti soldi dietro che non si può lasciare tutto al caso. Rimane autentica la spontaneità dei concorrenti, a parte quelli che hanno già lavorato in cucine professionali e non lo dicono. Spero che il programma si riprenda nella prossima edizione, perché in quest’ultima (la quarta, NdR) è scaduto un po’.

Passiamo alla severità dei giudici. Si vede che lo fanno apposta, ma quanto può essere sano vedere, ad esempio, Joe Bastianich che butta via un piatto? E poi, secondo te è un modo per far crescere l’individuo essere così “cattivi”?

Sono tutte tattiche televisive, perché nelle cucine professionali, dove io ho lavorato per togliermi ogni dubbio, non si butta niente. Lì, dovessi sbagliare un piatto, me lo devo mangiare io. Ci può essere il rimprovero, urla, strepiti, ma nelle cucine professionali non si butta via niente. Il gesto che fa Joe Bastianich è tutta scena e non lo fa più in nessun altro paese in cui collabora a delle trasmissioni, perché l’unico paese in cui questa cosa fa ancora ridere è l’Italia. È il pubblico che vuole vedere questo tipo di scene, perché vuole sfogare in questo modo tutta la rabbia e frustrazione che nasconde e reprime la maggior parte di esso: è un retaggio culturale.

L’accrescimento per il concorrente grazie a questi modi non ha niente di positivo. Pensa che quando lanciavano i miei piatti mi voltavo e ridevo.

Joe Batianich nella vita reale non è per niente stronzo: ci siamo sentiti spesso ed è sempre stato gentile. È l’unica persona, tra l’altro, che mi ha sempre chiamato per nome da quando mi ha conosciuto e non cara o tesoro.

Che rapporto hai con gli altri due giudici?

Con Barbieri non ho nessun tipo di rapporto. L’ho incontrato a Identità Golose a febbraio e mi ha stretto a stento la mano. Insomma, Barbieri è una prima donna.

Cracco è stato stronzo durante le registrazioni. Ma del resto devi sapere che per contratto i giudici non possono avere scambi fuori dagli studi e dalle telecamere con i concorrenti. C’è una distanza che però si riduce a fine programma. Cracco l’ho incontrato sempre a Identità Golose. Ci siamo salutati ed è stato molto cordiale, oltre che carinissimo. Ci siamo fermati a parlare e ha voluto capire com’è proseguita la mia vita e il mio percorso lavorativo.

Adesso di che ti occupi?

Io lavoro per Milano da bere. Sono la responsabile del canale Street Food. Da un mesetto ho aperto una rubrica di ricette mie in esclusiva. Ho inoltre aperto delle collaborazioni con dei ristoranti dai quali prendo delle ricette e le pubblico sulla mia rubrica. Ho inoltre scritto per Gambero Rosso, per l’edizione del 2016.

Per quanto riguarda la cucina pratica, mi sono dilettata con le social diner. Solo che dovendo affrontare sia preparazioni, sia logistica, era per me un carico troppo oneroso. Mi piace spadellare, ma vorrei trovare un compromesso tra sforzo fisico e un compenso degno, non eccessivo. Che sia equilibrato insomma.

Cosa ne pensi del fatto che McDonald e Coca-Cola sono gli sponsor ufficiali di EXPO?

È una questione di soldi. L’amore per il cibo, la filosofia su di esso, non importano: l’importante è che paghino.

Cos’è il cibo per te?

Per me non è sinonimo di sopravvivenza. Quando ho voglia di qualcosa e non riesco ad ottenerla io sto a digiuno. Ho fatto tanti giorni di digiuno, nonché esperimenti sul mio corpo. Per me il cibo è un boccone, non un piatto. Dev’essere qualcosa che ti soddisfa e che satura tutte le papille in un boccone. Mi anima il desiderio di percepire certe sensazioni. Di fatti adoro gli spoon taste. Non mi piace sentirmi piena fisicamente, ma di gusto.

Una visione ascetica quasi…

Sì. Aspetto il momento dell’ispirazione: a me piace desiderare il cibo. Non mi accontento di quello che capita.

Hai una visione del cibo molto interessante. Una crescita spirituale quasi.

A me piace tanto condividere il cibo con gli altri, guardare i miei parenti a tavola durante le feste: mi piace la convivialità che si genera attorno al cibo. Mi perdo in queste cose e quasi quasi quest’esperienza mi sazia. Considera che guardo spesso programmi di cucina, per motivi di lavoro e per passione: a me non viene mai fame quando li guardo. Bastano cinque minuti visti in compagnia di amici o parenti che negli altri sale subito l’appetito. Io, quando seguo i programmi di cucina, tento di ricordare l’odore di quello che stanno cucinando e quasi riesco a sentirlo. Sono riuscita a convertire mia sorella e a farla riflettere su questa cosa e mi ha dato ragione. Non concepisco il cibo come creatore di fame.

Questa tua visione è coerente con un’idealizzazione del cibo, per cui gli dai oltre che corpo, visione, ma accettando al contempo l’idea di collettività che ne è parte fondamentale. Del resto in latino, ma anche in tedesco, mangiare ha la stessa radice del verbo essere.

È una corrispondenza ancor più sentita perché ho un passato di sovrappeso, da adolescente. Ho sempre puntato sulla simpatia, nonché sull’intelligenza e lo studio. Però capisci bene che il fisico, l’impatto con esso, è molto importante. Dal momento in cui mi sono trasferita a Milano ho capito molte cose, avviando un percorso di amore odio per il cibo. Prima lo vedevo come un nemico, sebbene io mangiassi tanto. Adesso lo vedo come un riferimento, un’ispirazione, qualcosa che creo secondo il mio gusto. Viaggio sempre su quell’ascetismo di cui ti dicevo prima. È un approccio che ho sviluppato anche grazie al mio passato.

Capisco appieno il tuo discorso, anche perché perdere peso significa dare nuova identità al cibo, per cui apprezzarlo di più, creando un’occasione di crescita. Da ultimo una curiosità: quando vai in famiglia cucini tu?

È impossibile. Le donne della mia casa sono delle tiranne in cucina. Solo da un anno mi permettono di fare qualcosa. Per la mia festa di laurea, a dicembre, sono riuscita a vendere ai miei parenti delle crostate vegane che ho fatto io. Li ho ingannati con la vista. Nonostante il loro amore per l’unto, hanno molto apprezzato. Ma quando ho svelato il segreto, hanno subito moderato l’apprezzamento. È molto forte l’influenza del proprio background, delle proprie abitudini nel cibo.

Tra amici invece ho piena autonomia, anche da ospite. Pensa che quando vado a cena da amici di amici mi intrufolo in cucina perché mi piace condividere quei momenti con qualcun altro, anche se non lo conosco.

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Autore

  • Classe 1989, ha partecipato alla seconda edizione di Masterchef. Psicologa, ad ora collabora con Milano da bere, dove tiene anche una rubrica di ricette, e ha scritto per l’edizione 2016 di Gambero Rosso.