Intervista al maestro Tetsugen

di Tetsugen Serra

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Per inaugurare la rubrica “64 Tigri Zen” in collaborazione con il Monastero Zen Il Cerchio, le tigri sono andate all’Ensoji, il tempio Zen Sōtō nel cuore di Milano, per intervistare il Maestro Tetsugen Serra a proposito de “Il morso che spezza”, in rapporto alla recente pubblicazione del suo libro ‘Zen 2.0. La via della felicità’.

Nella storia Zen del giovane Matajuro Yagyu – proposta questo mese sulla rubrica 64 Tigri Zen in rapporto al tema de Il morso che spezza – emerge appunto sia il tema della violenza, per l’inflessibilità del maestro e per il “colpo” finale, che la capacità di attesa dell’allievo che viene messa alla prova.

FFF – A proposito della violenza, nel libro lei dice : «Il fumo, l’alcol, il gioco sono dipendenze che consideriamo tali, per questo tentiamo di uscirne. Pensare sempre allo stesso modo, invece, lo consideriamo libero arbitrio e non una dipendenza»1 (p. 13). È necessario fare qualcosa di simile con alcune nostre inflessibilità? Rivoltare, ad esempio, la violenza contro se stessa?

TETSUGEN – Un ambito psicologico dello Zen considera l’abbandono del proprio io e del proprio ego, ma talvolta è proprio come la dipendenza da alcol, droga, fumo, da qualsiasi cosa. Come fai a superarla? Puoi utilizzare mille modi, ma ce ne sono anche di quelli in cui ci si ubriaca a tal punto da non voler più bere, o si fuma tanto che viene la nausea. Lo Zen sceglie di servirsi della capacità di consapevolezza che, attraverso la dipendenza dall’ego, ci fa capire di non star vivendo una vita libera.

FFF – Ma questa si ottiene in modo graduale o con un momento secco, brusco, quindi – in un certo senso – violento? Sono questi i due grandi metodi storici dello Zen, giusto?

TETSUGEN – Se dovessimo parlare di qualcosa che riguarda la pratica dello Zen – e che non è semplice da capire per un occidentale – è che in esso tutto è brusco e secco, non c’è niente di graduale. Puoi stare attento al tuo io, a tutto quello che fai, ma nulla ti assicura di ottenere gli scopi. Anzi – e questo e il rischio della mindfulness – puoi anche diventare molto abile perché più hai consapevolezza di cosa ti muove, meglio riesci a gestirti. Riesci a muoverti in modo da avere meno sofferenza, o addirittura indifferenza per gli altri.

La consapevolezza di per sé (questo in generale), è una cosa importante – la maggior parte delle persone non è neanche consapevole, durante la pioggia, che sta piovendo, ad esempio –, ma il fatto di essere consapevole che qualcosa sta succedendo, non porta a far succedere qualcos’altro. Certo, è già qualcosa. Il sospendere il giudizio permette di vedere la realtà così com’è, ma si può anche usare a proprio favore questa lucidità di visione. Nello Zen si dice: «Un passo indietro e due avanti». Il passo indietro è sospendere il giudizio, per avere chiaro cosa sta succedendo e controllare gli stati emotivi. Ma poi si devono fare altri due passi: uno per tornare dove si era (per non ignorare il momento presente), quindi ci si deve re-immergere in tutto, e da lì iniziare col passo successivo verso il vero cambiamento. La consapevolezza viene sbandierata ovunque, ormai, ed è di certo importante, ma se dietro non c’è altro diventa inutile, se non addirittura pericolosa.

Lo Zen è Il morso che spezza in questo senso: o qui o non qui, o ci sei o non ci sei. L’illuminazione improvvisa è proprio questo. Puoi anche andarci vicino, ma se non l’hai realizzata, non puoi sentirne nemmeno il profumo. In questo momento, sapresti dire che sapore ha il pistacchio?

FFF – A proposito dell’Attesa. Sul suo libro leggo: «Non si tratta di “uccidere” il tempo ma di come godercelo» (p. 105). Qui si rinnega un certo tipo di “violenza”, in favore della dilatazione del tempo. Ma qual è il rapporto fra l’attesa e la pazienza cui si accenna a p. 110?

TETSUGEN – L’attesa non ha una connotazione negativa, però il fatto di intenderla come il lasciare che il tempo faccia arrivare tutto, che il fiume porti il cadavere del nemico (come si diceva), ecco: qui è il contrario della pratica Zen, in cui tu sei l’unico fautore dell’azione, attimo dopo attimo. Qui si tratta certo di pazienza – pensiamo alla calma meditativa – ma, proprio per questo, è qualcosa di molto impaziente. Bisogna distinguere, quindi, anche fra reattività e reazione. La reattività è un automatismo che ti governa, la reazione è invece agire secondo le circostanze. Se è il caso di attendere, allora quella sarà la nostra reazione, e non la passività di colui che aspetta il tempo che passa perché qualcosa accada, perché qualcosa si manifesti.

FFF – Ultima domanda: «Il ricordo spiacevole di un’esperienza passata non deve ricoprire la realtà del nuovo incontro» (p, 33), dice lei nel libro, nel senso che non dobbiamo lasciarci influenzare dal pregiudizio di ciò che sappiamo sugli altri nel rapportarci a loro di volta in volta. Lo si deve fare anche con se stessi? In caso affermativo, come conciliarlo con la necessità di progredire spiritualmente cioè, in un certo senso, di ricordarsi del proprio passato per migliorare?

TETSUGEN – In realtà non c’è nessuna vera progressione, perché non dobbiamo andare da nessuna parte. C’è solo l’importanza di essere. Se nel momento presente non nutro la mia mente con ricordi, bisogno di risposte, e attaccamento, è perché ho fiducia che sia possibile vederla in modo diverso, perché capisco che quello che sto vivendo è solo una visione parziale, e lo capisco perché sono in continuo scontro, continua agitazione, quindi c’è per forza una condizione migliore. Se sento di non essere in una condizione d’equilibrio, vuol dire che una condizione di equilibrio c’è. Quindi la mia risposta è sì: è possibile lasciarsi alle spalle il proprio condizionamento, rendendosi conto che esso non ti porta se non alla solita sofferenza. Ma superandolo, ecco che succede qualcosa, non importa se è o meno l’illuminazione: qualcosa succede. Il salto dell’illuminazione è proprio questo, fermare tutta la tua interpretazione della realtà, non sapendo più nemmeno che cosa sia, in modo che la realtà alla fine appare.

FFF – Maestro la ringrazio di cuore e la invito a scrivere anche lei qualcosa per la rubrica “64 Tigri Zen”, gestita da Tommaso, il vostro giovane bodhisattva.

TETSUGEN – Grazie a voi!

Per leggere la storia Zen del mese, dai un occhio alla rubrica 64 Tigri di Carta

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Note:

  1. Questa e le altre citazioni sono tratte dal libro Zen 2.0. La via della felicitò, Cairo Editore, Milano, 2014.

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