Armati di racchetta

di Stefano Geatti

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Nella finale di Coppa Davis 2014 la nazionale svizzera ha saputo combattere con la forza di un corpo organico e comune, mostrando come anche lo “sport solitario” trovi il proprio senso nella perfetta aggregazione di singolarità e molteplicità.

Nel preciso momento in cui ho accettato di prendere parte al progetto di questa rivista, in qualità di curatore della sezione di filosofia, si è subito insinuata in me la consapevolezza della vastità e della responsabilità di tale compito. Sapevo che, sebbene ogni articolo che sarei stato chiamato a scrivere avrebbe gravitato attorno a un tema o a un concetto particolare, tuttavia mi si sarebbe spalancato di fronte l’abisso delle molteplici prospettive possibili da cui considerare la questione, oltre agli svariati argomenti specifici sui quali il pensiero filosofico si è da sempre espresso. Mi venne in soccorso forse il più celebre tentativo di definire il campo d’azione della filosofia, fornitoci da Aristotele all’inizio della Metafisica, in cui si legge che «è chiaro che noi non cerchiamo questo sapere per nessun altro uso […], cerchiamo questa scienza come quella che è l’unica tra le scienze a essere libera, perché è l’unica che ha come fine se stessa»1 . Ecco che ciò che prima mi appariva come un insieme negativo e indistinto di possibilità cominciava a rivelarsi, invece, come il carattere distintivo della mia disciplina, la quale mi offriva la facoltà di accostarmi nella maniera più libera alle forme espressive, ossia ai “campi” su cui giocare le mie riflessioni. Perciò mi servirò di questo breve preambolo tecnico a titolo di scusa per la modalità – apparentemente lontana – con cui ho scelto di riflettere sul tema scelto dall’I King, ossia l’idea di una moltitudine che necessita di un momento e di un centro di aggregazione. Il punto da cui prende le mosse questa riflessione è l’ultimo, importante evento che ha interessato il mondo del tennis professionistico, ovvero la vittoria da parte della nazionale svizzera nella Coppa Davis2 . Innanzitutto, è opportuno tenere presente che la bellezza del tennis risiede nel suo carattere di sfida essenzialmente individuale – sebbene possa essere giocato anche in coppia – e che sul campo, sia ad alti livelli sia in contesti amatoriali, non si sfidano semplicemente due giocatori, si confrontano di volta in volta due “spiriti” attraverso differenti interpretazioni del medesimo sport, mostrando nello stile di gioco le sfaccettature del proprio carattere, le proprie inclinazioni, il proprio modo di essere, finanche il personalissimo sguardo sulla realtà: diciamo brevemente, con un concetto caro alla cultura tedesca, le proprie concezioni del mondo e della vita (die Weltanschauungen). Un buon maestro di tennis insegnerà, infatti, che prima ancora di giocare con il braccio, con le gambe o con gli occhi è necessario che giochi la mente, che essa analizzi la situazione presente e che scelga, tra le infinite possibilità di azione, quella più consona al contesto. Tuttavia, nonostante queste premesse facciano supporre l’impossibilità di correlare il tema della solidarietà collettiva al gioco tennistico, in una delle più antiche e prestigiose competizioni ufficiali, la Coppa Davis, l’essenza stessa di questo sport si modifica radicalmente. È una competizione che affonda le proprie radici nell’ormai lontano 1899 su iniziativa di alcuni studenti dell’Università di Harvard, ma è dall’ultima, più recente edizione che, come detto, nasce lo spunto per questa mia riflessione, in virtù delle particolari condizioni in cui si è sviluppata. L’atto finale si è consumato proprio nei giorni in cui sono venuto a conoscenza del tema sorteggiato dall’I King e mi sono detto: “Perché non scorgere in questa fortunata coincidenza un segno tangibile del significato di tale evento?”. E così ho cominciato a vedere nella vittoria della piccola Svizzera, guidata da colui che – a detta di tutti gli “addetti ai lavori” – è il grande re di questo nobile e antico sport, Roger Federer, un curioso rapporto con il nostro tema. Volendo riferirci a eserciti, a comandanti, all’enigmatico ma sublime rapporto di coesione che lega le parti tra loro in una totalità, in virtù di un centro d’aggregazione, questo evento sportivo mi è sembrato prestarsi come perfetta metafora di una delle massime con cui Paolo Mattia Doria (1667 – 1746), filosofo, matematico e schermidore, descrive l’attività del perfetto capitano e l’efficacia del suo esercito: «Il Capitano deve sapersi cattivare l’amore dei soldati […], deve saper animare i soldati [e] non deve voler fare tutto esso, ma deve saper fare bene operare tutti nel loro particolare ufficio.»3 . Allo stadio Pierre Mauroy di Lille si è svolta una battaglia insolita per la neutralità che la Svizzera mantiene pressoché intatta dal 1515. Qui si sono fronteggiati4 a colpi di racchetta due spiriti contrapposti: da una parte le giovani promesse francesi, già fiduciose del successo casalingo e perciò sostenute dalla cifra record di circa 20000 tifosi transalpini; dall’altra una formazione svizzera apparentemente lacerata dalle ambizioni e dai problemi individuali5 , sulle cui braci la stampa francese ha chiaramente soffiato. Tuttavia, è proprio alla vigilia di quella che sarebbe potuta apparire come una disfatta annunciata che prende forma un corpo nuovo, «un corpo che trae vitalità della proprie membra molteplici e differenziate, che sanno però risonare unite e sinfoniche, come la falange che combatte»6 . La squadra svizzera sperimenta sostanzialmente che l’unica possibile via per la vittoria risiede nel concetto socratico-platonico posto a conclusione del Fedro, per il quale si afferma che «i beni degli amici sono comuni» (koinà tà tōn phìlon) 7 . Il tassello fondamentale che ci consente di completare il quadro e di comprendere l’essenza del successo svizzero in Coppa Davis è costituito dalla necessità di trovare una sorta di centro gravitazionale, una figura che, scelta quasi in silenzio in virtù della propria personalità, sappia efficacemente non soltanto convogliare le diverse tendenze e i differenti stili dei compagni in un unico organismo, ma anche catalizzarne le qualità e le idee, con il solo scopo di elevare ciascuno dal piano delle possibili divergenze particolari a quello della forza comune. Tale processo ricorda – anche se in contesti differenti – l’idea che guida Thomas Hobbes nella fondazione del contrattualismo e della filosofia politica moderna: «Una moltitudine diviene una sola persona, quando gli uomini vengono rappresentati da un solo uomo o da una sola persona e ciò avviene col consenso di ogni singolo appartenente alla moltitudine.»8 . Nel concetto che sta alla base di questa figura – colui che Hobbes chiama “Leviatano” – ritroviamo essenzialmente condensati i temi che fin qui abbiamo affrontato e che così possono essere messi in luce: Gli individui, come li troviamo nello stato di natura, formano una semplice moltitudine, un’aggregazione di esseri isolati che non hanno niente in comune; fra loro aleggia piuttosto la diffidenza e la disunione. Mediante la costituzione di una persona autorizzata da ogni individuo appartenente a questa moltitudine, però, anche questi individui acquistano un’unità che prima non possedevano.9 La diffidenza e la disunione possono essere considerate come le spinose questioni a cui la squadra elvetica ha saputo replicare nell’unico modo possibile e in maniera tale da assicurarsi la vittoria. In una sola settimana, infatti, la nazione svizzera ha vissuto il suo momento sportivo più buio – in cui la schiena a pezzi della propria punta di diamante pareva metafora del sogno del trionfo che lentamente evaporava – e contemporaneamente ha conosciuto uno dei migliori esempi di solidarietà tra spiriti, i quali, riconoscendosi reciprocamente, sono stati in grado di muoversi come unica persona. Roger Federer sacrifica la ricerca di una gloria personale e, così facendo, si mostra consapevole dell’irrinunciabile ruolo di guida che il gruppo stesso gli riconosce – a differenza di ogni altro giocatore francese – e sceglie di scendere ugualmente in campo, portando con sé quello che Cocteau definiva «il prestigio della presenza»10. Non è un caso che la differenza nella finale, fin a quel momento in parità (1-1), venga fatta dall’incontro di doppio in cui Federer e Wawrinka vengono designati dalla squadra stessa per sostituire i due componenti più deboli, mettono da parte le recenti frizioni e si sostengono vicendevolmente, l’uno portando in campo l’ineguagliabile classe e accettando il ruolo di guida, l’altro offrendo il proprio appoggio al campione affaticato che chiede di essere accompagnato in questo compito. La perfetta chimica e il senso d’aggregazione che si vengono così a creare sono stati precisamente colti da un’intera nazione e simbolicamente rappresentati nel più frequente tra gli innumerevoli commenti giornalistici sulla vicenda: «Roger was the hero, but Stan was the man». Re e scudieri, dunque, si sono fatti emblemi e attori di ciò che Hegel definisce come «lo spirito di un unico popolo»11 – poiché con essi l’individuo e l’insieme sono divenuti un solo e fluido elemento – e hanno combattuto incarnando alla perfezione l’enorme spirito di solidarietà e coesione che anima i diversi cantoni e li muove all’unisono, al suono unificante del motto ufficiale della Confederazione elvetica: Unus pro omnibus, omnes pro uno.


Note:

1. Aristotele, La Metafisica, a cura di C. A. Viano, Utet, Torino 1974, vol. I, Libro I, pp. 186 – 187, 982 b 24-28.

2. Il 23 novembre 2014, la nazionale svizzera sconfigge la Francia e si aggiudica l’ambito trofeo, con il punteggio di 3-1 su un totale di 5 incontri (l’ultimo non è stato chiaramente disputato).

3. Paolo Mattia Doria, Il Capitano Filosofo, voll. II, Napoli 1739, Massima III e Massima XII.

4. È curioso che la Svizzera abbia messo fine a qualsiasi conflitto espansionistico a seguito della battaglia di Marignano nel 1515, combattuta proprio contro le forze francesi di Francesco I.

5. Si segnala che pochi giorni prima, il 15 novembre, Roger Federer e il connazionale e compagno di Davis Stanislas Wawrinka si erano affrontati con non poche polemiche nella semifinale del ATP Master, torneo tra i soli migliori otto giocatori del mondo, il quale, dopo la vittoria di Federer, ha poi visto il suo ritiro dalla finale per problemi alla schiena.

6. R. Fabbrichesi, In comune, Mimesis, Milano 2012, p. 49.

7. Platone, Fedro, tr. it a cura di P. Pucci, introduzione di B. Centrone, Laterza, Bari 2010, p. 129.

8. Cfr. T. Hobbes, Leviatano, Cap. XVI.

9. M. Rhonheimer, La filosofia politica di Thomas Hobbes. Coerenza e contraddizioni di un paradigma, Armando Editore, Roma 2010, p. 151.

10. Cfr. A. Scala, I silenzi di Federer, tr. it. a cura di A. Giarda, ObarraO Edizioni, Milano 2012, p. 7.

11. G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, a cura di G. Bonacina e L. Schirollo, Laterza Bari 2010, p. 47. Cfr. anche Ibidem: «Tutto è proprietà degli individui, così come gli individui, a loro volta, sono proprietà di questo tutto, poiché esso forma la loro sostanza, la loro esistenza.»

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